Cos’è la sindrome di Edwards e perché si sviluppa

Durante la gravidanza, la futura mamma è protagonista di cambiamenti fisici ed emotivi.

Adesso porta in grembo una nuova vita, di cui si deve prendere cura nel modo giusto. In caso di dubbi su come comportarsi, la prima persona cui rivolgersi è il ginecologo. Lui saprà indicare gli esami e il test prenatale giusto da effettuare, in base allo stato di salute della donna.

I test prenatali si dividono in:
invasivi
⦁ non invasivi

I test di screening prenatale non invasivi servono per calcolare la probabilità che il feto presenti anomalie cromosomiche.
Le anomalie più diffuse sono le trisomie (sindrome di Down, di Edwards e di Patau), che diventano più probabili man mano che l’età della gestante aumenta. Sopra i 35 anni, infatti, aumenta anche il tasso di incidenza delle anomalie che interessano il numero di cromosomi1.

La sindrome di Edwards è detta anche Trisomia 18, poiché è causata da una copia di troppo del cromosoma 18. Dopo la sindrome di Down, è la anomalia cromosomica più diffusa al mondo. Si calcola che interessi circa 1 neonato su 8.0002.
Purtroppo i bambini colpiti da sindrome di Edwards tendono a non sopravvivere oltre le prime settimane, superando il primo anno di età solo in rari casi3. In gran parte dei casi, il concepimento si conclude con un aborto spontaneo3.

I bambini con la Trisomia 18 presentano i seguenti tratti:
⦁ bocca piccola
⦁ dismorfia facciale
⦁ palpebra ristretta
⦁ padiglioni delle orecchie dismorfiche
⦁ ritardo mentale grave
⦁ anomalie cardiache3

Un test prenatale può aiutare a scoprire se è presente la trisomia 18 o un’altra anomalia cromosomica. A seconda delle proprie esigenze, la donna può scegliere l’esame di screening prenatale a lei più adatto, valutando fattori come il tasso di affidabilità del test e le tempistiche necessarie per avere i primi risultati.

Il test del DNA fetale è effettuabile sin dalla 10° settimana di gestazione. Per farlo è necessario solo un piccolo prelievo di sangue. I medici lo useranno per isolare frammenti di DNA fetale presenti nel sangue materno. Il test è di ultima generazione e ha un’affidabilità del 99,9% nell’individuazione delle trisomie più diffuse, oltre che di anomalie cromosomiche di altro tipo e di microdelezioni.

Il Bi Test è un esame che si effettua di solito tra la 11° e la 13° settimana insieme alla translucenza nucale, un esame ecografico. È affidabile all’85%. Più avanti, tra la 15° e la 17° settimana di gestazione, è disponibile il Tri Test, che ha un’affidabilità del 60% circa. Nel caso in cui dovesse emergere un’anomalia cromosomica, è bene procedere con un test prenatale invasivo come amniocentesi o villocentesi.

Il ginecologo saprà consigliare il test di screening prenatale più adatto.

Per ulteriori informazioni sul test del DNA fetale, visita il sito www.testprenataleaurora.it

Fonti:
1) Embriologia medica di Langman di Thomas W. Sadler, a cura di R. De Caro e S. Galli; 2016
2) Ecografia in ostetricia e ginecologia di Peter Callen; 2009
3) Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche -Di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut

L’importanza della prevenzione del tumore al seno e alle ovaie

La ricerca scientifica è sempre attiva nella lotta contro il cancro: ogni giorno si fanno passi avanti nella creazione di nuove cure e di trattamenti personalizzati.

Ancora più importante, però, è ridurre il rischio di una eventuale insorgenza delle neoplasie e diagnosticarle nella fase iniziale. In particolare, è molto importante la prevenzione tumore al seno.

Il cancro al seno è la prima causa di morte per malattia oncologica nella popolazione femminile¹. Eppure, se individuato nei primissimi stadi, le possibilità di sopravvivenza si aggirano intorno al 98%¹.
È inoltre fondamentale portare avanti una serie di strategie di prevenzione, volte a ridurre il rischio di insorgenza della malattia.
La prevenzione del tumore al seno e alle ovaie passa attraverso uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata. In alcuni casi, però, la comparsa della malattia è legata alla trasmissione di alcune mutazioni genetiche. Circa il 10% dei casi di tumore al seno e all’ovaio è infatti riconducibile a mutazioni a carico dei geni BRCA (BReast CAncer)2, 3.
I fattori di rischi ambientali sono affrontabili mediante la profilassi primaria. Per ridurre il rischio di tumore spesso basta già informarsi, mangiare in modo sano e fare una moderata attività sportiva4.
La profilassi secondaria è invece quella necessaria per individuare eventuali predisposizioni genetiche e arrivare ad una diagnosi tempestiva. In questo modo si aumentano le opportunità terapeutiche e le possibilità di guarigione.

Esistono percorsi di screening appositi volti a diagnosticare un tumore nelle primissime fasi. Questi comprendono test genetici che servono a individuare le mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2. Le donne con queste mutazioni hanno infatti fino all’87% delle possibilità di sviluppare il cancro al seno e fino al 40% di sviluppare quello alle ovaie5.
Basta un semplice campione di sangue o di saliva per effettuare un test BRCA, che consente di individuare la mutazione omonima. In questo modo si può misurare il rischio di insorgenza di tumore, lavorare per prevernirlo ed effettuare una diagnosi precoce nel caso fosse necessario.

Per saperne di più sui test genetici per il tumore al seno e all’ovaio: www.brcasorgente.it

Fonti:
1. Nastro Rosa 2014 – LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori)
2. Campeau PM, Foulkes WD, Tischkowitz MD. Hereditary breast cancer: New genetic developments, new therapeutic avenues. Human Genetics 2008; 124(1):31–42
3. Pal T, PermuthWey J, Betts JA, et al. BRCA1 and BRCA2 mutations account for a large proportion of ovarian carcinoma cases. Cancer 2005; 104(12):2807–16
4. Diet, nutrition and the prevention of cancer – Timothy J. Key, Arthur Schatzkin, Walter C. Willett, Naomi E. Allen, Elizabeth A. Spencer and Ruth C. Travis
5. Ferla R. et al. (2007). Founder mutations in BRCA1 and BRCA2 genes. Annals of Oncology. 18; (Supplement 6):vi93-vi98

STAMINALI CORDONALI. Ciò che avremmo sempre voluto sapere

Perché l’applicazione delle staminali in campo clinico desta così interesse?
Perché è importante considerare la conservazione staminali cordone ombelicale?

La funzione del cordone ombelicale è rendere possibile il passaggio di nutrienti tra gestante e nascituro. All’interno del cordone ombelicale sono contenuti, in media, dai 60 agli 80 centilitri di sangue, dove vivono quantità eterogenee di staminali, chiamate nell’insieme: cellule staminali cordonali.

Tali cellule, come dimostrato da studi scientifici, sono state suddivise in:
⦁ cellule staminali cordonali simil-embrionali: questo tipo di cellule staminali può, potenzialmente, differenziarsi in cellule dei tessuti endodermici (es. intestino), mesodermici (es. pelle), ed ectodermici (es. midollo spinale);
⦁ cellule staminali cordonali mesenchimali: sono in grado di creare diversi tessuti come osseo, cartilagineo, adiposo e nervoso;
⦁ cellule staminali cordonali ematopoietiche: queste cellule staminali del cordone sono capaci di distinguersi in cellule midollari ed ematiche;
⦁ cellule staminali cordonali progenitrici endoteliali: possono generare le cellule costitutive dei vasi sanguigni1,2.
Il rilascio della prostaglandina E2, un fattore umorale, dota le staminali di un’azione anti-infiammatoria4,5.

Il vero interesse per le staminali è dovuto alle loro proprietà di differenziarsi e proliferare, che le rendono adatte all’applicazione in medicina rigenerativa. Questa è una branca della moderna medicina che studia la rigenerazione di tessuti e organi, e offre un’alternativa alla loro sostituzione.

Da considerare che, a questo proposito, l’unico trapianto che assicura un alto livello di efficacia in medicina rigenerativa è quello di tipo autologo, dove le cellule trapiantate provengono dal paziente stesso.
Il trapianto allogenico, invece, è eseguito con cellule asportate da un altro soggetto e ciò espone il destinatario del trapianto al rischio di rigetto che lo vincolerebbe all’assunzione perenne di farmaci.
Per quanto riguarda i trapianti allogenici, è preferibile utilizzare cellule staminali del cordone ombelicale invece che cellule staminali ottenute da altri tessuti, per un miglior attecchimento. Le cellule staminali cordonali, infatti, hanno una “immaturità” immunologica1,3 che minimizza il pericolo di rigetto.

Conservare le staminali rappresenta una possibilità di trattare malattie di origini diverse.

Per maggiori informazioni: www.sorgente.com

Note bibliografiche:

1. Francese, R. and P. Fiorina, Immunological and regenerative properties of cord blood stem cells. Clin Immunol, 2010. 136(3): p. 309-22.

2. Mihu, C.M., et al., Isolation and characterization of stem cells from the placenta and the umbilical cord. Rom J Morphol Embryol, 2008. 49(4): p. 441-6.

3. Harris, D.T., Non-haematological uses of cord blood stem cells. Br J Haematol, 2009. 147(2): p. 177-84.

4. Jiang, X.X., et al., Human mesenchymal stem cells inhibit differentiation and function of monocyte-derived dendritic cells. Blood, 2005. 105(10): p. 4120-6.

5. Spaggiari, G.M., et al., MSCs inhibit monocyte-derived DC maturation and function by selectively interfering with the generation of immature DCs: central role of MSC-derived prostaglandin E2. Blood, 2009. 113(26): p. 6576-83.

Sindrome di Down: come si sviluppa?

Ogni donna, durante la gravidanza, vive un periodo meraviglioso, in cui si prepara ad accogliere nella sua vita il bambino che porta in grembo. Esistono diversi accorgimenti per salvaguardare la propria salute e quella del bambino. Per esempio, durante la gestazione viene consigliato alle gestanti di sottoporsi ad esami di screening prenatale, come il test del DNA fetale, che possono indicare l’eventuale presenza di anomalie cromosomiche nel feto.
Le Trisomie, come la Sindrome di Down, la Sindrome di Edwards e la Sindrome di Patau, sono condizioni cromosomiche caratterizzate dalla presenza di un cromosoma in più. Sono anomalie cromosomiche che riguardano il numero di cromosomi e che colpiscono soprattutto i bambini con mamme in età avanzata, solitamente superiore ai 35 anni1.
La Sindrome di Down, chiamata anche Trisomia 21, è causata dalla presenza di un cromosoma 21 in più. 1 bambino su 1.200, in Italia, nasce con questa patologia2. Questa anomalia cromosomica prende il nome del medico inglese John Langdon Down che l’ha identificata per la prima volta nel 1866.
Esistono tre tipi diversi di trisomia 21:
⦁ trisomia libera
⦁ trisomia da traslocazione
⦁ mosaicismo.
La trisomia libera è la più frequente, riguarda il 95% dei casi e si verifica quando in tutte le cellule sono presenti tre cromosomi di tipo 21, per cui la persona affetta da questa sindrome possiede nel proprio corredo genetico 47 cromosomi a fronte di 463.
La trisomia per traslocazione riguarda il 4% dei casi e si verifica quando una parte del cromosoma 21 si fonda ad un altro cromosoma. Un genitore con questa traslocazione ha un’elevata probabilità di mettere al mondo un figlio con la Sindrome di Down3.
La trisomia a mosaico o mosaicismo si verifica molto raramente (1% di casi circa). Il soggetto affetto presenta sia cellule normali con 46 cromosomi, sia cellule con 47 cromosomi e si tratta di una trisomia causata da un soprannumero che interessa il cromosoma n°21.
La Sindrome di Down si manifesta con un ritardo mentale a livello sociale e comportamentale4.
Le gestanti possono scegliere quali test di screening prenatale effettuare, tenendo conto del tasso di affidabilità e di quanto precocemente si desiderano avere informazioni sullo sviluppo del feto.
Dalla 10° settimana di gravidanza, le future mamme possono sottoporsi al test del DNA fetale, un esame non invasivo che analizza il DNA fetale presente nel sangue materno. È un semplice prelievo di sangue che rileva le principali trisomie (Sindrome di Down, Sindrome di Edwards, Sindrome di Patau), altre anomalie cromosomiche e le principali microdelezioni con un’affidabilità del 99,9%.
Tra l’11° e la 13° settimana di gestazione le future mamme possono effettuare il Bi Test in concomitanza con un esame ecografico, ovvero la translucenza nucale. Il tasso di affidabilità del test raggiunge l’85% circa5.
Tra la 15° e la 17° settimana le gestanti possono effettuare il Tri Test, con un tasso di affidabilità del 60% circa.
Non bisogna dimenticare che è molto importante rivolgersi al proprio ginecologo di fiducia per sapere quale esame di screening prenatale svolgere.

Per maggiori informazioni sul test non invasivo del DNA fetale: www.testprenataleaurora.it
Fonti:
1) Embriologia medica di Langman di Thomas W. Sadler, a cura di R. De Caro e S. Galli; 2016.
2) Associazione Trisomia 21 Onlus
3) Linguaggio e Sindrome di Down di P. Soraniello, pag.15
4) Ritardo mentale, Sindrome di Down e autonomia cognitivo-comportamentale di D. Di Giacomo, D. Passafiume; 2004
5) Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche -Di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut

Cellule staminali cordonali: alcuni esempi di trapianti effettuati con successo

Ancora oggi la medicina fatica a trattare i sintomi della leucemia, delle malattie infiammatorie e in generale, di tutte le patologie ematologiche.

Una speranza per i bambini che ne soffrono e per i loro genitori è rappresentata dalle cellule staminali cordone ombelicale, che sono state utilizzate con successo per affrontare queste malattie. Tali cellule trattano oggi un numero di patologie sempre più ampio, come dimostrano alcune storie di successo che vengono da tutto il mondo.

Un neonato di 4 mesi di nome Isla Bond soffriva di una forma di leucemia particolarmente grave. Il caso era troppo urgente e il piccolo non poteva attendere di trovare un donatore compatibile di midollo osseo. Si è perciò sottoposto a chemioterapia, dopodiché i medici hanno deciso di effettuare un’infusione di sangue cordonale. Il midollo osseo del neonato è stato rimosso, insieme alle cellule malate e Isla si è potuto sottoporre al trapianto. Passati 11 giorni dall’infusione, le condizioni di salute del piccolo sono stabili1.

Un caso simile è quello che hanno dovuto affrontare i dottori del Seattle Children’s Hospital, che hanno curato Jenna Gibson, una bambina di 9 anni affetta da leucemia mieloide acuta. Poiché rintracciare un donatore compatibile di midollo osseo era quasi impossibile, i medici del Fred Hutchinson Cancer Research Center hanno optato per il trapianto di staminali cordonali. Secondo quanto dichiarato dal direttore della struttura, Colleen Delany, il trattamento basato sull’infusione di sangue cordonale è più semplice nei bambini che negli adulti: è possibile impiegare un numero di cellule staminali più basso e gli indicatori da esaminare sono minori. La piccola si è così sottoposta a un’infusione di sangue del cordone ombelicale di un donatore compatibile2.

Anche in Cina i medici hanno preferito eseguire un’infusione di sangue cordonale su una neonata affetta da una rara malattia infiammatoria cronica intestinale, invece che un trapianto di midollo. Questo caso costituisce il primo esempio documentato di utilizzo di cellule staminali cordonali su una persona malata di questa patologia. A distanza di sei mesi dall’operazione la piccola ha potuto lasciare l’ospedale e ha da poco compiuto un anno3.

Un’altra storia a lieto fine riguarda un bambino a cui era stata diagnosticata una ittero acuta associata a epatite degenerata in un coma epatico. Si tratta della patologia denominata come anemia aplastica associata a epatite (HAAA). In questo caso, il piccolo si è sottoposto al trapianto di cellule staminali ematopoietiche ottenute dal suo sangue cordonale, che all’atto della sua nascita era stato conservato in una biobanca. Le staminali del cordone ombelicale hanno attecchito senza problemi e non hanno dato vita a fenomeni di rigetto4.

Dal 1988 a oggi sono stati eseguiti 35.0005 trapianti di cellule staminali cordonali. Tutti casi che hanno portato a un miglioramento delle condizioni di vita dei malati oppure addirittura hanno salvato loro la vita.

Ulteriori informazioni su www.sorgente.com

Note
1.Fonte: ABC News.
2. Fonte: perthnow.com.
3. Fonte: zeenews.india.com.
4. Successful treatment of a 3‐year‐old boy with hepatitis‐associated aplastic anemia with combination of auto‐umbilical cord blood transplantation and immunosuppressive therapy, Chen Liang, Jialin Wei, Erlie Jiang, Qiaoling Ma, Aiming Pang, Sizhou Feng, Mingzhe Han Transfusion and Apheresis Science 2015 52 2.
5. New York Blood Center’s National Cord Blood Program.

Cellule staminali del cordone ombelicale: perché conservarle può fare la differenza?

Quali sono i vantaggi nel conservare le cellule staminali del cordone ombelicale?
È bene conoscerli in anticipo perché l’unico momento a disposizione per effettuare la conservazione delle staminali cordonali è la nascita del proprio bambino. È fondamentale che la coppia arrivi a questo momento con le idee chiare e con una scelta effettuata in maniera consapevole.

Le cellule staminali del cordone ombelicale sono considerate uno strumento terapeutico e sono ad oggi impiegate nel trattamento di oltre ottanta patologie1 come indicato nelle istruzioni del Ministero della Salute contenute nel decreto ministeriale emanato nel novembre 2009.

Quali sono le opzioni per una coppia? Il cordone può essere donato a biobanche pubbliche oppure conservato privatamente. Con la donazione pubblica la famiglia perde la proprietà del campione, mentre con la conservazione privata il campione raccolto viene crioconservato presso una biobanca con sede all’estero per poi poter essere utilizzato, in caso di necessità, dal donatore o da familiari.

Infatti, se si presentasse la necessità di trapiantare le staminali cordonali per il trattamento di determinate patologie, nel caso in cui non si disponesse di un campione conservato privatamente, diventerebbe necessario trovare un donatore compatibile.
Con la conservazione privata, si può utilizzare il campione raccolto compatibile al 100% con il donatore, fino al 50% con i genitori e fino al 25% con i fratelli.

Le cellule staminali del cordone ombelicale hanno un grande potenziale terapeutico. Queste infatti sono “immature” dal punto di vista immunologico rispetto a cellule staminali presenti in tessuti e per questo in caso di trapianto ci sono minor probabilità di rigetto2.

È importante che alla coppia in attesa di un figlio vengano fornite informazioni corrette sulla conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale. Solo così i futuri genitori potranno prendere una scelta consapevole ed evitare che queste preziose cellule vengano perse.

Per maggiori informazioni: www.sorgente.com

Fonti:
⦁ Decreto legislativo 18 Novembre 2009
⦁ Francese, R. and P. Fiorina, Immunological and regenerative properties of cord blood stem cells. Clin Immunol, 2010. 136(3): p. 309-22.

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

 

Consulenza genetica: cosa c’è da sapere

Negli ultimi anni prevenzione, ricerca e diagnosi sono diventati sempre più importanti, specie in ambito oncologico. Le campagne di informazione e di sensibilizzazione sono aumentate e hanno l’obiettivo principale di informare la popolazione su come prevenire i principali tumori come il cancro al seno (prima causa di morte per malattia oncologica nelle donne), allo stomaco, all’intestino e alle ovaie.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ribadisce che per ridurre l’insorgenza dei tumori è determinante partire dall’eliminazione dei fattori di rischio correlati (alimentazione errata, stile di vita poco sano, poca attività fisica, etc.) ¹. La prevenzione primaria comprende una corretta informazione e l’individuazione dei fattori di rischio.


Con prevenzione secondaria invece, ci si riferisce ad una diagnosi precoce della malattia. In questo, la genetica medica e la consulenza genetica rivestono un ruolo decisivo. Diagnosticare un tumore quando è ancora nelle sue fasi iniziali permette di intervenire tempestivamente con cure efficaci e così le probabilità di guarigione aumentano². Ad esempio, se un tumore al seno viene diagnosticato allo stadio zero, le probabilità di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi delle donne trattate raggiunge il 98%².
Un consulente genetico può fornire un valido aiuto nel capire a quale test genetico sottoporsi e, in caso di tumore, quale terapia intraprendere. Forme tumorali come il cancro al seno o quello all’ovaio sono spesso dovute alla presenza di mutazioni genetiche ereditabili.
Conoscere un gene che, se mutato, potrebbe portare ad una malattia, permette di comprendere meglio la patologia stessa e inoltre fornisce indicazioni utili sul trattamento da seguire³. Per quanto riguarda il tumore al seno e all’ovaio, sono predisponenti le mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2. Con un test genetico è possibile individuare la presenza di queste mutazioni e di monitorare il rischio di insorgenza della malattia.
Circa una donna su 400/800 è portatore di mutazione nei geni BRCA1 e BRCA2⁴. Queste donne con BRCA mutato hanno fino all’87% di probabilità di sviluppare il tumore al seno e fino al 40% per il tumore all’ovaio5,6. Conoscere la propria predisposizione genetica al tumore è quindi fondamentale per attuare una strategia preventiva e per intervenire tempestivamente.
Per conoscere i dettagli dei test genetici per il tumore al seno e all’ovaio visita: www.brcasorgente.it

Fonti:
legatumorilecco.it⦁
⦁ Nastro Rosa 2014 – LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori)
⦁ Bruce R. Korf. Genetica Umana: dal problema clinico ai principi fondamentali, Springer 2001, pag. 91.
⦁ I numeri del cancro 2014 – pubblicazione a cura di Aiom. Com e Artum
⦁ Ferla R, et al. (2007). Founder mutations in BRCA1 and BRCA2 genes. Annals of Oncology. 18; (Supplement 6):vi93-vi98.
⦁ Chen S, et al. (2007). Meta-analysis of BRCA1 and BRCA2 penetrance. J Clin Oncol. 25(1 1 ):1 329-1 333

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica

Anomalie cromosomiche: cosa sono?

La gravidanza è sicuramente uno dei momenti più intensi ed emozionanti nella vita di una donna, che per nove mesi condivide tutto con il proprio bambino.
Per la futura mamma tutelare la propria salute e quella del feto deve essere una priorità. Questo implica alcuni accorgimenti come condurre uno stile di vita sano, sottoporsi ai regolari controlli medici e svolgere un test di screening prenatale volto a identificare eventuali anomalie cromosomiche in gravidanza.

Ci sono diverti tipi di test di screening prenatale a cui una gestante può scegliere di sottoporsi. Gli esami di screening prenatale non invasivi sono definiti anche “probabilistici”, in quanto calcolano la probabilità che il feto sia affetto da un’anomalia cromosomica come le trisomie (Sindrome di Down, Sindrome di Edwards, Sindrome di Patau) o da difetti di chiusura del tubo neurale.
Anomalie che riguardano il numero e la struttura dei cromosomi possono causare difetti congeniti, ovvero alla nascita e incurabili.
Nello specifico, quando si parla di trisomie, ci si riferisce ad anomalie cromosomiche che prevedono la presenza di un cromosoma in sovrannumero. Per quanto riguarda in generale le anomalie cromosomiche, l’età della gestante rappresenta un fattore di rischio: infatti, l’incidenza di anomalie aumenta con l’avanzare degli anni della mamma, in particolare dopo i 35 anni.
Le delezioni e le microdelezioni sono anomalie che interessano la struttura del cromosoma in cui viene a mancare una parte di questo con dimensioni variabili. La Sindrome di Wolf-Hirschhorn e della Sindrome di Cri-du-chat sono causate da delezioni di grandi dimensioni (> 5Mb) e si manifestano con un ritardo mentale grave e dismorfismi. Con microdelezioni si intendono delezioni di dimensioni inferiori a 5 Mb e sono alla base della Sindrome di Di George e quelle di Angelman e Prader-Willi. A livello clinico si evidenziano ritardi mentali medio-gravi, dismorfismi a livello facciale e difetti congeniti.
La futura mamma può sottoporsi ad esami di screening prenatale non invasivi che rilevano quanto sia probabile che il feto sia affetto da una di queste anomalie.
Esistono diversi test di screening prenatale che la gestante può effettuare tenendo conto del tasso di affidabilità e di quanto precocemente si vuole svolgere il test.
Il Bi-Test, combinato con la translucenza nucale (un esame ecografico), può essere svolto tra l’11a e la 13a settimana di gravidanza e ha un tasso di affidabilità dell’85% circa3. Il Tri Test invece, si effettua tra la 15a e la 17a settimana e ha un’affidabilità del 60% circa.

Già a partire dalla 10a settimana di gravidanza ci si può sottoporre al test del DNA fetale, un test di screening prenatale non invasivo di ultima generazione. In questo test vengono analizzati dei frammenti di DNA fetale che circolano nel sangue materno durante la gestazione. Il test è affidabile nel 99,9% dei casi e rileva le principali trisomie (Sindrome di Down, Sindrome di Patau e Sindrome di Edwards), microdelezioni e altre anomalie cromosomiche.
Nel caso in cui un test di screening indicasse la presenza di anomalie cromosomiche nel feto, sarà necessario che la gestante si sottoponga ad esami di diagnosi prenatale invasivi come l’amniocentesi o la villocentesi, che forniranno una diagnosi sullo stato di salute del feto.
Contatta il tuo ginecologo, il quale saprà consigliarti sugli esami da svolgere durante la gravidanza
Se desideri saperne di più sul test prenatale non invasivo Aurora visita il sito www.testprenataleaurora.it

Fonti:
⦁ Embriologia medica di Langman di Thomas W. Sadler, a cura di R. De Caro e S. Galli; 2016.
⦁ Manuale di Pediatria Generale e Specialistica di M. Bonamico; 2012; pag. 92.
⦁ Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche -Di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica

Cellule staminali del cordone ombelicale: quale uso terapeutico?

La conservazione del sangue del cordone ombelicale è un argomento di estrema attualità e di grande importanza dal punto di vista medico. Le potenzialità delle cellule staminali del cordone ombelicale sono state studiate da molti ricercatori e queste ricerche ogni giorno compiono passi avanti. Scopriamo quali sono alcuni dei più recenti progressi nel campo delle staminali cordonali.
Partiamo dai risultati ottenuti nel trattamento di malattie onco-ematologiche, come la leucemia linfoblastica acuta, o ematologiche, come l’anemia aplastica severa. In questo campo il trapianto autologo di cellule staminali ha dato risultati positivi, anche se lo standard terapeutico per questo tipo di patologie consiste nel trapianto allogenico. Il primo caso di trapianto autologo di staminali del cordone su una paziente affetta da leucemia linfoblastica acuta risale al 2007: Il trattamento, in una paziente di tre anni ha fatto sì che, a un anno dal trapianto, i valori ematici della bambina tornassero normali e che, a due anni dall’intervento, non sia stato riscontrato alcun segno di ricaduta1.
Nel 2011 sono stati diffusi i risultati di uno studio in cui tre pazienti affetti da anemia aplastica severa si sono sottoposti, dopo una terapia immunosoppressiva, a trapianto autologo di cellule staminali cordonali: i pazienti sono rimasti liberi dalla malattia rispettivamente per quasi cinque anni, oltre tre anni e, nel terzo caso, per 17 mesi. In quest’ultimo caso il paziente si è sottoposto ad un nuovo ciclo di terapia immunosoppressiva, grazie al quale ha ritrovato per oltre due anni la sua indipendenza nei confronti delle continue trasfusioni di sangue cui la malattia lo costringeva2.
Le cellule staminali del cordone ombelicale hanno attirato l’interesse dei ricercatori che studiano i disordini neurologici, come la paralisi cerebrale. Al momento è in corso uno studio clinico per valutare l’effetto terapeutico del trapianto autologo di cellule staminali in 184 bambini affetti da disordini neurologici, tra i quali la paralisi cerebrale. I risultati ottenuti fino a questo momento hanno dimostrato che nei pazienti non si è manifestata alcuna reazione avversa, sottolineando quindi la sicurezza del trapianto autologo di staminali cordonali3.
Uno studio, nell’ultimo anno, si è occupato di verificare l’efficacia del trapianto allogenico di cellule staminali cordonali nel trattamento della emorragia alveolare diffusa, una complicanza rara, e molto grave, del lupus sistemico eritematoso che ha un tasso di mortalità che supera il 50%. Quattro pazienti affetti da questa patologia si sono sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali cordonali. Il loro quadro clinico è migliorato, infatti ad un mese dall’intervento i livelli di ossigeno nel sangue si sono normalizzati e a sei mesi dall’intervento anche i livelli di emoglobina hanno raggiunto la normalità, qualificando il trapianto allogenico di cellule staminali cordonali come uno strumento terapeutico per i soggetti affetti da questa grave patologia4.
Questi sono soltanto alcuni degli studi clinici, portati a termine o ancora in corso, che indagano le potenzialità terapeutiche delle staminali cordonali. Queste cellule vengono considerate ogni giorno di più come un importante strumento terapeutico nelle mani della medicina. La scienza sta facendo grandi passi avanti che fanno sperare che presto il numero di patologie trattabili con le staminali crescerà, permettendo a sempre più pazienti un miglioramento delle loro condizioni di salute e di vita.
Per ulteriori informazioni: www.sorgente.com

Note:

1. Hayani A, Lampeter E, Viswanatha D, Morgan D, Salvi SN: First report of autologous cord blood transplantation in the treatment of a child with leukemia. Pediatrics 119:e296-300, 2007
2. Rosenthal J, Woolfrey AE, Pawlowska A, Thomas SH, Appelbaum F, Forman S: Hematopoietic cell transplantation with au-tologous cord blood in patients with severe aplastic anemia: An opportunity to revisit the controversy regarding cord blood banking for private use. Pediatr Blood Cancer
3. Sun J, Allison J, McLaughlin C, Sledge L, Waters-Pick B, Wease S, Kurtzberg J: Differences in quality between privately and publicly banked umbilical cord blood units: a pilot study of autologous cord blood infusion in children with acquired neuro-logic disorders. Transfusion 50:1980-1987
4. Clinical Rheumathology
5. Clicca qui per leggere l’elenco delle patologie

Cos’è la biopsia solida? E a cosa serve?

Alimentazione scorretta, eccesso di alcol e fumo, scarsa attività fisica: sono fattori di rischio responsabili dell’insorgenza di vari tumori. Sebbene ogni giorno in Italia circa 1000 persone si ammalino di tumore, a testimonianza dell’impatto di questa patologia di tipo oncologico1, il numero di decessi per cancro sta diminuendo. Questo traguardo si deve anche a una crescente attenzione verso la prevenzione e a un miglioramento dei trattamenti nel campo dell’oncologia1.

La medicina personalizzata si sta affermando in oncologia. Si tratta di una nuova metodologia che consente ai pazienti di combattere la malattia con trattamenti personalizzati, basati su analisi specifiche a livello molecolare. Si può ottenere un profilo molecolare, con una biopsia, che permette di stabilire la terapia personalizzata più adatta al paziente.

Le patologie oncologiche sono diverse e si sviluppano su tessuti e organi differenti. Nascono da alterazioni cellulari. Lo scopo delle cellule è provvedere allo sviluppo dell’organismo, ma se una cellula sana non svolge più le proprie funzioni, può subire alterazioni biologiche e, per esempio, iniziare a riprodursi in maniera incontrollata e immotivata. I tumori sono alla base di queste alterazioni cellulari2.

TAC e risonanze magnetiche sono gli esami diagnostici prescritti, di solito, in caso di sospetto di tumore. Per una diagnosi definitiva sul tipo di cellule da esaminare occorre fare una biopsia, solida o liquida, a seconda se si preleva del tessuto o del liquido (sangue o urina).

La biopsia solida è invasiva e dal suo esito lo specialista stabilisce la terapia più adatta.

Lo studio del genoma (informazioni genetiche del DNA) è essenziale in oncologia per trovare le alterazioni responsabili della natura cancerosa delle cellule. Il Precision OncoTest SB1 è un test genetico che analizza la sequenza del trascrittoma (RNA), del genoma (DNA) e l’analisi della quantità di proteine. Offre una panoramica molecolare e oncologica completa, sufficiente per sviluppare trattamenti personalizzati. Il test richiede un campione ematico e un campione di tessuto.

L’analisi quantitativa proteomica e le alterazioni geniche permettono di valutare trattamenti adatti.

La prevenzione dei tumori parte da uno stile di vita sano ed equilibrato e continua con controlli regolari e test di screening. Si consiglia anche di effettuare esami genetici per stabilire una terapia mirata.

Per maggiori informazioni: www.sorgenteoncologia.it

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica

Fonti:

1. Registri-tumori.it I numeri del cancro 2016 – a cura de Il Pensiero Scientifico Editore
2. airc.it

5 miti da sfatare sui tumori

Circolano molte false credenze su come si originano i tumori, come il tumore al seno o al cervello. Quando si parla di cancro si dovrebbero possedere informazioni veritiere e corrette, per non indurre a comportamenti errati e creare ansie ingiustificate. Ecco 5 falsi miti da sfatare:

  • ritenere che il cancro sia contagioso. C’è un’eccezione connessa ai trapianti di organi, poiché ci sono stati casi in cui i pazienti a cui sono stati trapiantati organi di persone malate di tumore, hanno poi sviluppato una malattia oncologica1. In altri casi il tumore è provocato da virus (es. HPV), ma non è il tumore a essere contagioso, bensì il virus.
  • credere che ci sia una connessione fra l’utilizzo di deodoranti con azione anti-traspirante e l’insorgenza del cancro mammario. Molti studi sull’argomento hanno rivelato che non esiste alcuna relazione fra sviluppo tumore al seno e uso di questi cosmetici.
  • ritenere che avere consanguinei a cui è stato diagnosticato un tumore porti allo sviluppo della stessa malattia oncologica negli altri componenti familiari. Sebbene molti tipi di tumore siano connessi all’ereditarietà (il 5-10% delle forme tumorali mammarie sono legate alla predisposizione genetica e alle mutazioni dei geni  ciò non implica per forza, lo sviluppo del tumore. Chi non è predisposto geneticamente, al contrario, non può esimersi dal fare prevenzione pensando di essere immune ai tumori.
  • ritenere che il tumore sia favorito da operazioni chirurgiche. Si tratta di una falsa credenza data da quei casi in cui il paziente, dopo l’operazione, aveva metastasi o altri tumori. L’eventualità è legata alla non completa rimozione delle cellule tumorali o alla scoperta, durante l’intervento, di una situazione peggiore di quanto preventivato con gli esami.
  • Credere che i cellulari siano responsabili di alcuni tipi di tumore. Molte ricerche hanno evidenziato come non sussistano relazioni fra onde elettromagnetiche emesse da cellulari, elettrodomestici, linee elettriche e sviluppo di tumori.

Qualunque dubbio legato ai tumori deve essere condiviso con il medico specialista, che potrà indirizzare il paziente verso percorsi di screening e prevenzione personalizzati.

Per maggiori informazioni: www.brcasorgente.it

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica

1. Chapman JR, Webster AC, Wong G. Cancer in the transplant recipient. Cold Spring Harb Perspect Med. 2013 Jul 1;3(7)

2. Mirick DK, Davis S, Thomas DB. Antiperspirant use and the risk of breast cancer. Journal of the National Cancer Institute 2002; 94(20):1578–1580

3. Campeau PM, Foulkes WD, Tischkowitz MD. Hereditary breast cancer: New genetic developments, new therapeutic avenues. Human Genetics 2008; 124(1):31–42

4. Pal T, PermuthWey J, Betts JA, et al. BRCA1 and BRCA2 mutations account for a large proportion of ovarian carcinoma cases. Cancer 2005; 104(12):2807–16

5. SCENIHR. 2015. Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks: Potential health effects of exposure to electromagnetic fields (EMF)

Prevenire i tumori: come fare?

Lo stato di salute di ogni persona è particolarmente influenzato dallo stile di vita che segue.

Seguire un regime alimentare adeguato, praticare attività fisica e mantenere sotto controllo il peso sono buone abitudini che hanno un ruolo determinante nella prevenzione di alcune forme di tumore, come il cancro al seno, al fegato, all’esofago e al colon-retto1.
L’alimentazione incide nel mantenimento di un buono stato di salute e nella prevenzione di diverse patologie e malattie oncologiche e proprio su questo argomento sono stati effettuati numerosi studi. Nei paesi occidentali il 30% dei casi di tumore è legato all’alimentazione, rendendo l’attenzione per la dieta il secondo fattore di prevenzione più importante, subito dopo il non fumare1.
Alcune sostanze presenti nei cibi che consumiamo quotidianamente sono considerate pericolose per l’insorgere di neoplasie. Per esempio: i nitriti e i nitrati (utilizzati per conservare i salumi), alfatossine, generate da muffe nei cibi, grassi e proteine animali assunte in eccesso2. I cibi considerati “alleati” per la salute sono la frutta, la verdura, i cereali, la pasta, il pane e i legumi. Anche gli alimenti e le sostanze tipiche delle cucine internazionali possono diventare ottimi alleati per la salute, come la soia, le alghe, il curry e lo zenzero. Le fibre sono molto utili nella prevenzione di diverse forme di tumore, come il cancro al seno e allo stomaco, la cui incidenza è inferiore in chi segue un regime alimentare ricco di fibre2,3. Queste ultime capaci di regolare la produzione di estrogeni che, ad alti livelli, sono associati ad un aumento del rischio di tumore alla mammella.
Seguire un’alimentazione equilibrata è importante anche per mantenere il giusto peso, che influisce sulla prevenzione dell’insorgenza di tumori. L’ideale indice di massa corporea dovrebbe essere compreso tra 18,5 e 251 (valore che si calcola dividendo il peso espresso in chili per il quadrato dell’altezza espressa in metri).
Anche praticare sport è una buona e sana abitudine per la salute. Secondo alcuni studi le donne che praticano attività fisica regolarmente mantengono un peso nella norma e hanno il 12% di rischio in meno di ammalarsi di tumore al seno4. Per limitare la sedentarietà basta iniziare facendo quotidianamente una camminata veloce di 30 minuti per poi passare ad attività più regolari della durata di un’ora, a seconda della propria forma fisica5.
Oltre a seguire queste sane abitudini quotidiane è importante sottoporsi ad esami di screening regolari, controlli con specialisti e test genetici per la rilevazione di mutazioni associate ad alcune tipologie di tumori (come il test BRCA per la prevenzione del tumore al seno). È molto importante rivolgersi al proprio medico per definire il percorso di screening più adatto alla propria salute e alla familiarità con alcune forme di tumore.
Per maggiori informazioni sui test genetici BRCA per il tumore al seno: www.brcasorgente.it
Fonti:

1. Diet, nutrition and the prevention of cancer ­ Timothy J. Key, Arthur Schatzkin, Walter C. Willett, Naomi E. Allen, Elizabeth A. Spencer and Ruth C. Travis
2. Risch HA, Jain M, Choi NW, et al. Dietary factors and the incidence of cancer of the stomach. Am J Epidemiol. 1985;122:947­959.
3. Lubin F, Wax Y, Modan B, et al. Role of fat, animal protein and dietary fiber in breast cancer etiology: a case control study. J Natl Cancer Inst. 1986;77:605­612.
4. The European CanCer Organisation (ECCO)
5. Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro ­ airc.it

Toxoplasmosi in gravidanza: quali misure preventive adottare

Quando una mamma è in attesa del suo bebè adotta tanti accorgimenti per condurre la gravidanza serenamente. Un’alimentazione sana e una costante attività sportiva sono buone abitudini che vanno di pari passo con il sottoporsi ad esami di screening non invasivi o di diagnosi prenatale.
Il percorso di screening prenatale prevede anche degli esami del sangue tramite i quali è possibile rilevare non solo la presenza di infezioni, ma anche stabilire se la gestante è immune o meno a due malattie, quali la rosolia e la toxoplasmosi, che se contratte durante la gravidanza possono causare problemi al feto¹.
La toxoplasmosi, una volta contratta durante la gestazione può essere trasmessa al feto. Questa malattia è causata dal parassita Toxoplasma Gondii, ospitato da gatti e felini². La gravità dell’infezione varia in base all’epoca della gestazione in cui viene contratta: più avviene in fase precoce, tanto più i danni al feto sono maggiori³. Diversamente quanto più la gravidanza è inoltrata, tanto più la frequenza di contagio è maggiore⁴. La toxoplasmosi può essere contratta entrando in contatto con feci di gatto oppure consumando carne e pesce poco cotti o crudi. Uno studio europeo ha rivelato appunto che la prima fonte di contagio in gravidanza è il consumo di carne cotta poco o cruda⁵.
Per prevenire la toxoplasmosi in gravidanza è bene seguire i seguenti accorgimenti:
⦁ evitare il consumo di insaccati, carne e pesce crudi o poco cotti
⦁ lavarsi bene le mani di prima di iniziare a mangiare
⦁ lavare accuratamente frutta e verdura, comprese le insalate preconfezionate
⦁ evitare il contatto con terreno che potrebbe essere contaminato per la presenza di feci di gatto. Nel dubbio è sempre meglio usare dei guanti di protezione e lavarsi bene le mani successivamente.
Controlli medici ed esami del sangue sono importanti per verificare l’immunità alla toxoplasmosi. I prelievi ematici fanno parte dei percorsi di screening prenatale consigliati a tutte le mamme in dolce attesa. Tra gli esami di screening prenatale c’è il test del DNA fetale che rileva in modo non invasivo le principali trisomie cromosomiche come la Sindrome di Down e le microdelezioni.
Per ulteriori informazioni sullo screening prenatale non invasivo visita il sito www.testprenataleaurora.it
Fonti:
⦁ Principi di malattie infettive – a cura di L. Calza; pag. 207
⦁ Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut; pag. 294
⦁ Gravidanza fisiologica, linea guida 20 – a cura del Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità,
CeVEAS
⦁ Enciclopedia medica italiana, Volume 10; Uses Edizioni Scientifiche – Firenze; pag. 397
⦁ Cook AJ, Gilbert RE et al. Sources of Toxoplasma infection in pregnant women: European multicentre case-control study. BMJ 2000; 321:142-7

Cosa sono le cellule staminali?

 

 

Spesso si sente parlare dell’utilizzo delle cellule staminali in campo medico per il trattamento di diverse malattie. Conservare le cellule staminali è dunque importante per preservare un patrimonio biologico prezioso. Ma cosa sono le cellule staminali? Queste posseggono ben tre caratteristiche:
⦁ sono indifferenziate, cioè non hanno una identità funzionale definita;

⦁ possono autorinnovarsi, ossia quando si replicano generano anche altre cellule staminali;

⦁ possono dar vita a tutte le cellule di cui una persona adulta è costituita1.

La popolazione di staminali comprende al suo interno cellule con diverse capacità differenziative:

⦁ staminali totipotenti: capaci di creare tutte le cellule di un adulto, anche quelle degli annessi extraembrionali (ad es. la placenta);

⦁ staminali pluripotenti: capaci di generare tutte le cellule di una persona, ad eccezione delle cellule degli annessi extraembrionali;

⦁ staminali multipotenti: differenziandosi, danno vita a vari tipi di cellule, dotate di una sola specifica funzione. Ad es. le cellule ematopoietiche sono cellule staminali del sangue che possono originare tutte le cellule del sangue, ma non del cervello.

Un’altra classificazione che è possibile fare delle cellule staminali è in base alla loro sede di origine. In questo senso, le staminali sono virtualmente presenti in ogni tessuto e si distinguono in:

⦁ staminali embrionali: sono le cellule pluripotenti che si trovano nell’embrione2. Per raccoglierle tuttavia, è necessario distruggere l’embrione. Da qui si innescano gravi problemi etici;

⦁ staminali del cordone ombelicale: sono cellule multipotenti che si trovano nel sangue del cordone e il loro prelievo è indolore e sicuro per mamma e bebè. Il loro uso, a differenza delle staminali embrionali, non può perciò sollevare alcuna problematica di natura morale;

⦁ staminali adulte: sono virtualmente presenti in tutti gli organi e tessuti di una persona adulta. Sotto il profilo dell’applicazione clinica, le staminali ematopoietiche (generano tutte le cellule del sangue) e le staminali mesenchimali (generano più tipi di cellule, es. adipose e cartilaginee)3 sono le cellule staminali adulte più importanti da utilizzare.

Le staminali rappresentano un prezioso patrimonio biologico, potenzialmente in grado di originare ogni organo o tessuto di una persona.

Per maggiori informazioni: www.sorgente.com

Note bibliografiche
1. Thomson, J.A., et al., Embryonic stem cell lines derived from human blastocysts. Science, 1998. 282(5391): p. 1145-7.
2. Menendez, P., et al., Human embryonic stem cells: potential tool for achieving immunotolerance? Stem Cell Rev, 2005. 1(2): p. 151-8.
3. Ikada, Y., Challenges in tissue engineering. J R Soc Interface, 2006. 3(10): p. 589-601

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Guida alla corretta autopalpazione del seno

Visite mediche e percorsi di screening sono essenziali nella prevenzione di molte malattie oncologiche e per tenere sotto controllo la propria salute. Oltre a controlli con medici specialisti, le donne possono effettuare autonomamente un primo screening per il cancro alla mammella che permette di prevenire, prima che compaiano i sintomi tumore al seno, questo tumore la cui incidenza è molto alta nella popolazione femminile.
Effettuare regolarmente un autopalpazione del proprio seno può favorire la diagnosi precoce del tumore, aumentando sensibilmente le probabilità di sopravvivenza. Infatti, secondo dati scientifici, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi delle donne colpite da tumore al seno, è di circa il 98%1​ ​. Affinché sia efficace però, l’autopalpazione deve essere effettuata correttamente: vediamo insieme i passaggi fondamentali.
Prima di iniziare con la palpazione è importante soffermarsi alcuni minuti ad osservare il proprio seno. Posizionatevi di fronte a uno specchio, mantenendo le braccia lungo i fianchi, e osservate se le mammelle presentano un profilo anomalo come affossamenti, sporgenze, alterazioni di colore e della forma dei capezzoli. Osservate i seni anche a braccia alzate.
Procedete dunque con l’autopalpazione. Portate un braccio sopra la testa e con la mano libera tastate la mammella mantenendo le dita tese, per cercare eventuali irregolarità nel tessuto (come indurimenti o ispessimenti) o masse anomale. Procedete con il tastare entrambe le mammelle.
Successivamente sdraiatevi sul letto, appoggiando la testa e le spalle sul cuscino. Portate un braccio dietro alla testa e, mantenendo dita e mano appiattite, effettuate nuovamente la palpazione della mammella tramite movimenti circolari partendo dall’esterno arrivando al capezzolo. Non dimenticatevi di palpare anche nell’incavo dell’ascella, dove possono presentarsi dei noduli.
Infine stringete i capezzoli molto delicatamente tra indice e pollice e verificate se si presentano fuoriuscite di liquidi e, in tal caso, controllarne il colore.
È importante che questo autocontrollo, che andrebbe ripetuto una volta al mese, faccia parte della vostra routine. Per le donne che hanno il ciclo mestruale è consigliato effettuare l’autopalpazione alla fine del ciclo, quando il seno è più morbido e meno sensibile.
Nel caso si rivelassero anomalie come noduli, fuoriuscita di liquidi o infossamenti è importante contattare subito il proprio medico. Non bisogna mai sottovalutare le anomalie rilevate ma non allarmatevi prima di avere effettuato tutti i dovuti controlli. I medici infatti sottolineano l’importanza di screening mirati, in modo particolare riferendosi alle donne che hanno familiarità con casi di tumore al seno o all’ovaio. Oltre agli esami di screening classici e consigliati a tutte le donne, come mammografia o ecografia, è possibile effettuare test genetici specifici per la rilevazione delle mutazioni dei geni BRCA, associate all’insorgenza del 5-10% di casi di tumore al seno e del 15% di tumore ovarico2​ ,3​.
Per maggiori informazioni sui testi genetici sulle mutazioni su BRCA visita: www.brcasorgente.it
Fonti:
⦁ airc.it
⦁ Campeau PM, Foulkes WD, Tischkowitz MD. Hereditary breast cancer: New genetic developments, new therapeutic avenues. Human Genetics 2008; 124(1):31–42
⦁ ​Pal T, Permuth​Wey J, Betts JA, et al. BRCA1 and BRCA2 mutations account for a large proportion of ovarian carcinoma cases. Cancer 2005; 104(12):2807–16

A cura di: Ufficio stampa Sorgente Genetica  www.sorgentegenetica.it

 

Cellule staminali cordonali: un patrimonio che può salvare la vita

Ogni giorno accendiamo la televisione e veniamo travolti da tantissime cattive notizie, che spesso riguardano anche la salute dei bambini. Ma accanto a queste tragedie, è importante raccontare anche le storie di tanti piccoli eroi che hanno sconfitto la malattia. Ecco alcuni casi di successo di bambini che – dopo un trapianto di cellule staminali cordonali ottenute anche attraverso la donazione cordone ombelicale – hanno finalmente cominciato a vivere una vita normale.

Già durante il corso della gravidanza, Stephanie Conner era consapevole che la figlia Madeline avrebbe avuto dei problemi. I dottori che la seguivano avevano scoperto che la bimba – ancora nella pancia della mamma – era affetta da un virus che avrebbe potuto impedirle di sviluppare le facoltà dell’udito e della vista e che poteva provocarle danni anche seri agli organi interni. Dopo il parto, i medici avevano diagnosticato a Madeline solo uno di questi disturbi: la mancanza dell’udito neuro-sensoriale. La piccola allora ha affrontato un trattamento basato sul trapianto autologo di staminali cordonali. La terapia aveva l’obiettivo di “riparare” i danni che il suo udito ha riportato. Al momento questa terapia è ancora in fase sperimentale, per cui non ci sono certezze riguardo alla sua efficacia. Nonostante ciò, a pochi giorni di distanza dal primo trapianto, Stephanie Conner ha già dichiarato: “Abbiamo notato un grosso miglioramento”. Anche se la prudenza è d’obbligo, uno dei medici che ha in cura Madeline ha dichiarato: “Le cellule staminali potrebbero riuscire a ripristinare le capacità uditive della bambina”.

Identica sorte è quella toccata al piccolo Ricky Martinez, un bambino di dieci anni a cui è stata diagnosticata l’anemia falciforme, una patologia che lo obbligava a effettuare continue trasfusioni di sangue. Inizialmente i dottori volevano trovare un donatore compatibile di midollo osseo, ma questa operazione avrebbe potuto richiedere molto tempo. Allora il piccolo si è sottoposto a un trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale e, da allora, le sue condizioni di vita sono migliorate, come ha confermato Victor Wang, dottore del reparto di ematologia in cui Ricky è stato ricoverato. Il numero dei globuli bianchi ha smesso di diminuire e per questo motivo oggi il bambino ha bisogno di meno trasfusioni. Si spera in futuro – se la salute del bambino continuerà a migliorare – di sospenderle del tutto. Oggi Ricky può vivere una vita normale, come quella di tutti i bambini: gli piace giocare ai videogame e rimanere sveglio fino a tardi.

Sparrow Morris, invece, era una bambina sanissima che viveva nello Stato della Louisiana. Le sue condizioni fisiche erano ottime fino a quando un incidente le ha distrutto la vita. A causa di una brutta caduta in piscina, la bambina è rimasta incosciente e senza ossigeno per alcuni minuti. L’incidente le ha così causato gravi dei danni cerebrali. Successivamente la bimba si è sottoposta al trapianto autologo di cellule staminali cordonali. I suoi genitori avevano infatti deciso di conservarle al momento della sua nascita. Dopo l’infusione, le condizioni di Sparrow hanno subito un netto miglioramento: secondo quanto raccontano i genitori, la piccola sta riprendendo a poco a poco la sua capacità di muoversi e comunicare1.

Questi sono solo alcuni esempi di bambini che hanno migliorato le proprie condizioni di vita grazie alle cellule staminali del cordone ombelicale e grazie alla fiducia che i loro genitori hanno avuto nei confronti di questi trattamenti. Tali terapie – alcune ancora in fase sperimentale – hanno contribuito ,infatti, a dare una nuova speranza a queste famiglie.

Per conoscere altre storie di successo, visita il sito www.sorgente.com.  A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

Note:
1. A dare la notizia è la nota emittente americana Fox News. Clicca qui per leggere l’articolo.

Tumori: la strada per la prevenzione

Forme tumorali come il cancro al seno, alle ovaie, al fegato o al colon retto possono essere causate da una serie di fattori quali l’ambiente, lo stile di vita e l’alimentazione di un individuo. Per questo motivo è indispensabile mantenere il proprio peso sotto controllo e svolgere costantemente attività fisica.

Partiamo dall’alimentazione: la sua incidenza nello stato di salute di un essere umano, nonché nella prevenzione dell’insorgere di un cancro è attestata da diversi studi. Questi rilevano che il 30% dei casi di tumore è appunto legato all’alimentazione. In questo modo l’attenzione alla dieta si rivela essere il secondo fattore di prevenzione più importante subito dopo il non fumare¹.
Cosa mangiamo? È una domanda che magari non ci poniamo, ma ogni giorno ingeriamo diverse sostanze: alcune nutritive, altre meno. Per quanto riguarda la comparsa di forme tumorali ci sono delle sostanze pericolose che possono causarne l’insorgenza. Nitriti e nitrati sono alcune di queste insieme ad alfatossine, grassi e proteine di origine animale. L’uso in eccesso è fortemente sconsigliato.

Di seguito alcuni alimenti che possiamo considerare degli alleati della nostra salute:
⦁ frutta
⦁ verdura
⦁ cereali
⦁ pane/pasta
⦁ legumi
Questi alimenti contengono fibre, utili per la prevenzione del cancro al seno o allo stomaco. Coloro che seguono un regime alimentare ricco di fibre presentano un’incidenza minore di comparsa delle forme tumorali²ˊ³. La loro capacità consiste nel regolare la produzione degli estrogeni che, se ad alti livelli, sono associati ad un aumentato rischio del tumore al seno.

Anche il giusto peso ha un’influenza non indifferente per prevenire l’insorgenza dei tumori. In questo senso l’indice di massa corporea che si calcola dividendo il peso espresso in chili per il quadrato dell’altezza espressa in metri, dovrebbe essere compreso tra 18,5 e 25¹.
La pratica dello sport è un’altra buona abitudine per la nostra salute. Studi specifici affermano che le donne che svolgono attività sportiva hanno il 12% in meno di rischio di ricevere una diagnosi di cancro al seno. Molto importante è evitare la sedentarietà: un primo passo può essere quello di fare tutti i giorni una camminata veloce di almeno 30 minuti per poi passare ad un’attività più lunga.
Alimentazione e sport sono il primo passo verso la prevenzione dei tumori. A questi è bene associare esami di screening per rilevare alcune mutazioni genetiche associate ad alcune tipologie di forme tumorali come ad esempio il BRCA test, per la prevenzione del cancro al seno.

[A cura di Ufficio stampa Sorgente Genetica]
Fonti:
1. Diet, nutrition and the prevention of cancer ­ Timothy J. Key, Arthur Schatzkin, Walter C.
Willett, Naomi E. Allen, Elizabeth A. Spencer and Ruth C. Travis
2. Risch HA, Jain M, Choi NW, et al. Dietary factors and the incidence of cancer of the
stomach. Am J Epidemiol. 1985;122:947­959.
3. Lubin F, Wax Y, Modan B, et al. Role of fat, animal protein and dietary fiber in breast
cancer etiology: a case control study. J Natl Cancer Inst. 1986;77:605­612.
4. The European CanCer Organisation (ECCO)
5. Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro ­ airc.it

La rosolia in gravidanza: i pericoli e la prevenzione

La maggior parte delle malattie infettive viene contratta durante l’infanzia, tuttavia può capitare che alcuni virus come il morbillo, la varicella o la rosolia colpiscano anche in età adulta, risultando in alcuni casi pericolosi. In particolare, la rosolia, se contratta nel corso della gravidanza, può portare a serie complicazioni che possono avere un grave impatto sullo sviluppo del feto. Sottoporsi a test di diagnosi prenatale, come l’amniocentesi, a test di screening e controlli regolari è fondamentale per tenere sotto controllo il proprio stato di salute durante la gravidanza.

amniocentesi (2)

La rosolia è una malattia infettiva causata dal Rubivirus. La rosolia si trasmette per via aerea, attraverso starnuti, tosse e goccioline di saliva emesse parlando. Si manifesta attraverso la comparsa di un’eruzione cutanea a piccole macchie rosacee, detta esantema, simili a quelle che compaiono con il morbillo o la scarlattina. Il tempo di incubazione della malattia è di circa 2-3 settimane1. Solitamente, dopo questo periodo inizia a manifestarsi l’esantema, inizialmente su viso e collo e successivamente sul resto del corpo, e può durare fino a dieci giorni. In alcuni casi si manifestano anche dei sintomi simili a quelli di una influenza come mal di testa, febbre, ingrossamento dei linfonodi e raffreddore. Tuttavia, nel 50% dei casi i sintomi possono non essere evidenti e quindi la malattia passa inosservata2.

Contrarre la rosolia durante la gravidanza può essere molto dannoso per il feto. In questo caso, il bambino viene colpito da una sindrome chiamata “rosolia congenita”. Danni maggiori si presentano quando la gestante contrae la malattia precocemente, entro le 12 settimane di gestazione3. Le conseguenze possono essere morte intra-uterina, aborto spontaneo o presenza di gravi malformazioni e difetti congeniti. I risultati di alcune ricerche scientifiche hanno rilevato che il 62% dei bambini colpiti da rosolia durante la gravidanza sviluppano anomalie congenite, tra cui sordità (nel 47% dei casi), lesioni cardiache (nel 42%), difetti della vista (sempre nel 42%) e microcefalia (nel 14% dei casi)4.
Sfortunatamente, ad oggi non esistono terapie contro la rosolia ma è possibile attuare una strategia di prevenzione con vaccinazione. Infatti, è consigliato alle donne che desiderano una gravidanza di verificare già prima del concepimento se sono immunizzate verso il virus eseguendo un esame del sangue chiamato Rubeotest. Il Rubeotest viene ri-effettuato periodicamente durante la gravidanza alle donne che risultano negative alla presenza di anticorpi contro la rosolia.
È importante che la gestante si affidi a un ginecologo di fiducia, in grado di definire a quali test prenatali è preferibile si sottoponga.
Per avere più informazioni sul test di screening prenatale non invasivo del DNA fetale visita il sito
www.testprenataleaurora.it
[A cura dell’Ufficio stampa Sorgente Genetica]

Fonti
– The New Harvard Guide to Women’s Health – Di Karen J. Carlson, Stephanie A. Eisenstat, Terra Diane
Ziporyn
– epicentro.iss.it
– CDC – Centers for Disease Control and Prevention
– Encyclopedia of Thoracic Surgery / Handbuch Der Thoraxchirurgie: Band / Volume 2: Spezieller Teil 1 /
Special, Parte 1 – Ernst Derra, Springer Science & Business Media, 06 dic 2012

A cosa servono le cellule staminali

Le Cellule Staminali consentono di intervenire efficacemente nel trattamento di gravi malattie ematologiche, immunologiche, genetiche, metaboliche e oncologiche.

Sono oltre 80 le patologie per cui le staminali sono in uso corrente. Ecco l’estratto dal Decreto Ministeriale 18 Novembre 2009

Leucemie e linfomi:
Leucemia linfoblastica acuta,
Leucemia mieloide acuta,
Leucemia acuta bifenotipica,
Leucemia acuta indifferenziata,
Leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto,
Linfoma di Hodgkin,
Linfomi non-Hodgkin,
Leucemia linfatica cronica,
Leucemia prolinfocitica
Disordini mielodisplastici/mieloproliferativi
Sindromi mielodisplastiche, includenti:
Anemia refrattaria (AR),
Anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ARSA),
Anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB),
Anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione (AREB-t),
Leucemia mielomonocitica cronica,
Leucemia mielomonocitica giovanile,
Citopenia refrattaria
Leucemia mieloide cronica Philadelphia positiva
Mielofibrosi idiopatica,
Policitemia vera,
Trombocitemia essenziale
Disordini della plasmacellula:
Mieloma multiplo,
Leucemia plasmacellulare,
Macroglobulinemia di Waldenstrom,
Amiloidosi
Insufficienze midollari mono/plurilineari
Anemia aplastica acquisita,
Anemia di Fanconi,
Discheratosi congenita,
Emoglobinuria parossistica notturna,
Anemia di Blackfan-Diamond,
Anemia diseritropoietica congenita,
Aplasia pura della serie eritroide acquisita,
Porpora amegacariocitica congenita (da mutazione del gene del recettore per la trombopoietina),
Disordini congeniti delle pistrine (malattia di Bernard-Soullier, tromboastenia di Glanzmann),
Agranulocitosi congenita (sindrome di Kostmann),
Sindrome di Shwachman-Diamond

Emoglobinopatie
Beta Thalassemia,
Anemia a cellule falciformi,
Selezionati casi di deficit di piruvato-kinasi con dipendenza trasfusionale
Istiocitosi
Linfoistiocitosi emofagocitica familiare,
Sindrome di Griscelli,
Sindrome di Chediak-Higashi,
Istiocitosi a cellule di Langerhans (Istiocitosi X)
Disordini congeniti del sistema immunitario
Malattia granulomatosa cronica,
Deficit delle proteine di adesione leucocitaria,
Immunodeficienze combinate gravi (SCID), includenti:
 – Deficit di adenosin-deaminasi
 – Difetto delle molecole HLA di classe I e II
 – Difetto di Zap70
 – Sindrome di Omenn
 – Deficit di purin-nucleoside-fosforilasi
 – Disgenesia reticolare
 – Difetto della catena gamma comune a multiple citochine
 – Difetto di JAK3
Sindrome da iper-IgM,
Sindrome di Wiskott-Aldrich,
Sindrome linfoproliferativa X-linked (Sindrome dei Duncan o Sindrome di Purtillo),
Ipoplasia cartilagine-capillizio,
Sindrome di DiGeorge,
Sindrome IPEX (immunodeficienza con poliendocrinopatia, enteropatia, X-linked)
Errori congeniti del metabolismo
Sindrome di Hurler (MPS-IH),
Sindrome di Scheie (MPS-IS),
Sindrome di Maroteaux-Lamy (MPS-VI),
Sindrome di Sly (MPS-VII),
Adrenoleucodistrofia,
Fucosidosi,
Malattia di Gaucher,
Malattia di Krabbe,
Mannosidos,
Leucodistrofia metacromatica,

Mucolipidosi II (I-cell disease),
Lipofuscinosi ceroido neuronale (malattia di Batten),
Malattia di Sandhoff,
Osteopetrosi
Osteogenesis imperfecta
Altri disordini ereditari
Porfiria eritropoietica congenita (malattia di Gunther)
Altre neoplasie
Sarcoma di Ewing
Neuroblastoma,
Carcinoma a cellule chiare del rene,
Rabdomiosarcoma,
Altre indicazioni
Sindrome di Evans,
Sindrome linfoproliferative autoimmune (da difetto di FAS, FAS-L, Caspasi),
Sclerosi sistemica progressiva,
Neoplasie in età pediatrica trattate con chemio/radioterapia (per aumentato rischio di sviluppo di s.,mielodisplastiche e leucemie acute secondarie).

Caratteristiche, sintomi e strategie di screening del cancro ovarico

Il cancro ovarico, a causa della difficoltà di diagnosticarlo precocemente, è una delle patologie oncologiche più pericolose.

Si pone al 10o posto fra i tipi di cancro che colpiscono le donne. 1 donna su 74, ogni anno, sviluppa un cancro all’ovaio, che costituisce il 30% dei tumori maligni dell’apparato riproduttivo femminile1.

Le ovaie producono cellule riproduttive femminili (ovociti) e ormoni. Se la produzione di cellule è incontrollata, possono insorgere tumori:

⦁ epiteliali: sono il 90% dei tumori ovarici e si sviluppano dalle cellule che rivestono l’ovaio;
⦁ germinali: nascono dalle cellule che producono ovuli e sono il 5% dei casi;
⦁ stromali: solo il 4% dei casi e si sviluppano dal tessuto di sostegno dell’ovaio2, lo stroma gonadico;

L’età incide su questi tipi di cancro. Il tipo epiteliale è più frequente in età riproduttiva e avanzata. I tipi germinale e stromale sono più comuni nelle donne al di sotto dei 20 anni (40-60% dei casi). Si calcola che la metà delle donne con cancro ovarico ha oltre 60 anni3.

Fattori ormonali, ambientali, predisposizione genetica, sono fattori di rischio. La familiarità (legata alla mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2) nelle donne over 70 è connessa a un rischio del 20-60% di tumore. Si stima che il 90% dei tumori ovarici sia una forma sporadica, e il 10%3 sia una forma ereditaria.

Il cancro ovarico è detto “silente” poiché i sintomi (sottovalutati perché spesso scambiati per comuni disagi quotidiani), sono evidenti solo in una fase avanzata. Gonfiore al ventre, frequente minzione, aerofagia, perdita di peso improvvisa, se persistenti potrebbero indicare un tumore ovarico. Se il tumore si individua al primo stadio, il tasso di sopravvivenza dopo 5 anni dalla diagnosi è del 90% (si parla di guarigione4).

Se visite ginecologiche ed esami transvaginali rilevano anomalie, il ginecologo normalmente raccomanda una risonanza magnetica, una tomografia e analisi per i marcatori tumorali (es. CA 125). È utile eseguire il test per le anomalie dei geni BRCA1 e BRCA2, poiché se presenti (sebbene non implichino la presenza di un tumore), si può definire un percorso di prevenzione.

Per individuare sintomi e stabilire percorsi di screening mirati è raccomandato il consulto con uno specialista.

Per maggiori informazioni: www.brcasorgente.it

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica
1. I numeri del cancro – edizione 2014
2. Airc – Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
3. Cancro dell’ovaio – Guide Esmo/AFC, a cura dell’Anticancer Fund e della European Society for Medical
Oncology, ed. 2014
4. ACTO – Alleanza Contro il Tumore Ovarico, intervista alla dottoressa Nicoletta Colombo, Direttore di
Ginecologia Oncologica Medica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano

Gravidanza e fattore RH negativo: quali sono i rischi?

Ogni donna in dolce attesa vuole prendersi cura della propria salute e di quella del bambino. I percorsi di screening prenatale, utili per rilevare eventuali anomalie cromosomiche in gravidanza, prevedono diversi esami che possono essere effettuati in varie epoche gestazionali per scoprire eventuali condizioni pericolose per il piccolo.

Una di queste è legata al fattore Rh negativo, data dall’incompatibilità Rh tra il sangue materno e quello del bambino.
Il fattore Rh si definisce positivo o negativo in base alla presenza o meno dell’antigene D che determina rischi per il bambino quando presenta Rh positivo e la madre Rh negativo.
Se il sangue materno entra in contatto con quello del feto il sistema immunitario della donna incinta riconosce la presenza dell’antigene D e inizia a produrre anticorpi contro i globuli rossi del bambino. La reazione può portare allo sviluppo di una malattia emolitico-fetale, che può causare la morte del feto o del neonato1,2.

La gravità di questa malattia dipende dalla risposta del sistema immunitario della donna.

I test di diagnosi prenatale invasivi, come l’amniocentesi o la villocentesi, un’emorragia, l’aborto, una gravidanza ectopica o dei traumi addominali possono essere i fattori che determinano il contatto tra il sangue della mamma e quello del figlio.
Con il passare degli anni è stato sviluppato un sistema di immunoprofilassi per ridurre i rischi causati dall’incompatibilità Rh tra il sangue della gestante e quello del feto. Si tratta del sistema immunoprofilassi anti-D, che consiste nella somministrazione tramite iniezione di immunoglobuline umane anti-D, che permettono di prevenire la formazione nella futura mamma di anticorpi che possono attaccare i globuli rossi del feto. La gestante con Rh negativo può essere sottoposta ad un trattamento sia prima che dopo il parto, a seconda dei casi.
Nel 10% delle gravidanza si presenta un’incompatibilità Rh tra mamma e feto3. Prima della gravidanza si possono effettuare dei controlli medici per valutare i gruppi sanguigni della coppia oppure esami di diagnosi prenatale durante la gravidanza per rilevare precocemente possibili incompatibilità e definire la necessità di intervenire con l’immunoprofilassi. Entro la 16a settimana, nei percorsi di screening prenatale, si può effettuare il test di Coombs indiretto, per scoprire se nel sangue materno sono presenti anticorpi che agiscono contro Rh positivo. Le donne con fattore Rh negativo e un partner con Rh positivo devono ripetere il test ogni mese durante la gravidanza. Gli specialisti potrebbero consigliare di eseguire l’immunoprofilassi anti-D alla 28a settimana di gravidanza e queste pazienti qualora vengano effettuati esami di diagnosi prenatale o se al momento del parto viene accertato che il bambino è Rh positivo.
Grazie ad un consulto con il proprio ginecologo si può pianificare un percorso di screening prenatale personalizzato con test specifici.

 

Per maggiori informazioni sui test prenatali non invasivi del Dna fetale: www.testprenataleaurora.it
Fonti:
1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – Di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut
2. La compatibilità di gruppo materno-fetale – di L. Brondelli, G. Simonazzi, N. Rizzo
3. Gravidanza fisiologica, linea guida 20 – a cura del Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, CeVEAS

 

 

 

Quanti tipi di cellule staminali esistono?

 

Le cellule staminali, microscopici mattoncini di ricambio del nostro corpo, sono in grado di moltiplicarsi all’infinito generando cellule identiche a se stesse (autoriproduzione), oppure cellule specifiche di organi e tessuti (specializzazione) quali ad esempio, le cellule delle ossa, del cervello, del pancreas, del fegato.
Le principali categorie di cellule staminali sono: embrionali, cordonali e adulte (o somatiche).

 

  • Le cellule staminali embrionali sono ottenute dall’embrione e sono cellule totipotenti, cioè capaci di generare tutti i tipi di cellule. Il loro utilizzo tuttavia comporta complessi risvolti etici perché la loro estrazione può provocare danni all’embrione.
    a pochi giorni dal concepimento il bimbo è un piccolo insieme di potentissime staminali
    Staminali embrionalistaminali embrionali poi le Cellule Staminali iniziano a differenziarsi per dare origine al feto
    anche nel feto e nel liquido amniotico ci sono Cellule Staminali
  • Le cellule staminali del cordone ombelicale e quelle adulte, non comportano problemi etici, sono multipotenti, e presenti nell’organismo umano già formato. Hanno il compito di accrescere l’organismo e generare nuove cellule per il mantenimento e la riparazione dei suoi organi e tessuti grazie alla capacità di specializzarsi in alcuni tipi di cellule. Le procedure per prelevare le cellule staminali adulte da un individuo sono spesso invasive e traumatiche, inoltre tutte le fonti di staminali adulte ne consentono una raccolta esigua. Dal cordone ombelicale è invece possibile estrarre quantità abbondanti di staminali, di “qualità” superiore con un prelievo indolore, veloce e sicuro”. Anche il Ministero della Salute Italiano riconosce l’uitilità per trapianto delle cellule staminali del cordone ombelicale e fornisce un elenco di oltre 80 malattie trattabili con queste cellule.
    Staminali del cordone ombelicale
    staminali cordonali
      nel cordone ombelicale si raccolgono molte Cellule Staminali del tuo bambino
    Staminali adultestaminali adulte o somatiche   le Cellule Staminali si trovano negli organi e nei tessuti di un organismo adulto

[tratto da www.sorgentegenetica.com]

Il legame tra alimentazione e staminali del cordone ombelicale

L’approccio al cibo resta un argomento difficile per tante persone nonostante si senta parlare sempre più di alimentazione corretta.

Una sana alimentazione è importante durante il periodo di gravidanza. È stato proprio uno studio¹ del gruppo di medicina rigenerativa dell’Ospedale San Matteo di Pavia a mostrare una connessione tra l’alimentazione dei genitori, prima e durante la gravidanza e le cellule staminali del cordone ombelicale.
È noto il legame esistente tra alimentazione e gravidanza o meglio tra il benessere della mamma e la salute del bebè. Il sito del Ministero della Salute² contiene un vademecum sul regime alimentare che è bene seguire. È consigliato fare 4-5 pasti al giorno, mangiare frutta e verdura di stagione accuratamente lavata, bere molto, consumare carni bianche e pesce come sogliole, merluzzo, nasello ben cotti. Da evitare invece sono i cibi grassi, carne e pesce crudo, insaccati e bevande alcoliche. È bene anche limitare il consumo di uova, zucchero e caffè.
Prendere troppo peso o troppo poco può influire negativamente sul benessere della mamma e del bambino, poiché potrebbero svilupparsi patologie potenzialmente pericolose come il diabete gestazionale.
Lo studio effettuato dal gruppo di medicina dell’Ospedale San Matteo di Pavia ha rivelato che l’alimentazione dei genitori ha un impatto determinante sulle cellule staminali del cordone ombelicale. Gli elementi di cui sono costituiti i cibi influenzano lo sviluppo di spermatozoi e ovociti, i quali influenzano a loro volta le staminali del cordone ombelicale. Da quanto emerso dallo studio, i bambini nati da donne ipernutrite o malnutrite avrebbero un numero minore di cellule staminali. Una condizione questa, per cui i soggetti esaminati sono risultati maggiormente esposti a malattie e con difese immunitarie più basse. In questo modo l’organismo ha più difficoltà a rimpiazzare le cellule perse e ha una maggiore predisposizione a problemi di salute. La perdita di cellule è legata sia alla malattia, ma è anche fisiologica e avviene ogni giorno, motivo per cui la presenza di un numero minore di staminali mina la salute dell’individuo.
Per questo motivo la conservazione delle cellule staminali si configura come un valido strumento terapeutico a disposizione e le cui potenzialità aumentano con il progredire della ricerca.

Ulteriori informazioni su www.sorgente.com
Fonti
1. Studio riportato da “La Provincia Pavese”, per approfondimenti clicca qui
2 . “Gravidanza, corretta alimentazione”, vademecum del Ministero della Salute

Come usare correttamente i farmaci

Per una mamma in dolce attesa è importante prendersi cura di sé e del proprio bambino.

In tal senso diventa fondamentale sottoporsi periodicamente a dei controlli. Inoltre per garantire la prevenzione e la salute di entrambi può essere utile effettuare anche test prenatali e conservare le staminali del cordone ombelicale.
Si pensa che assumere farmaci durante la gravidanza, nel caso in cui la mamma presenti alcuni disturbi, possa essere dannoso per la salute del nascituro. Si tratta di un falso mito sfatato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) che promuove la salute delle donne in dolce attesa attraverso un portale internet che fornisce informazioni complete sull’utilizzo dei farmaci.
I farmaci non sono tutti dannosi per la salute del bebè e se sono stati prescritti dal medico possono essere utilizzati. Per le donne che soffrono di malattie croniche e che assumono farmaci prima ancora della gravidanza è indispensabile valutare cosa fare con uno specialista. È sconsigliabile interrompere di netto la terapia. Al contrario invece, è bene discuterne con il medico che valuterà il corretto dosaggio durante il periodo di gravidanza o eventualmente sostituirà il farmaco con un altro.
Con la nascita del bambino è importante mantenere una certa attenzione nella somministrazione dei farmaci ai bambini. L’Aifa nel corso delle sue ultime campagne di comunicazione¹, ha ricordato come molti genitori tendono erroneamente a somministrare ai bambini gli stessi farmaci degli adulti riducendone il dosaggio. Per la somministrazione di farmaci ai bambini è invece fondamentale consultare il medico per ricevere indicazioni corrette sul trattamento farmacologico più idoneo per il bambino.
Per attuare un piano di prevenzione e cura di diversi disturbi è necessario che ogni terapia sia prescritta da uno specialista, che può indicare il trattamento più idoneo sia per gli adulti sia per i bambini.
Ci sono patologie di grave entità per le quali i farmaci non sempre sono sufficienti, per questo motivo gli specialisti possono scegliere di ricorrere a trattamenti di diverso tipo. Uno strumento terapeutico sempre più valido nel trattamento di molte malattie sono le cellule staminali, la cui efficacia è dimostrata da numerosi studi. Anche il Ministero della Salute italiano riconosce il trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale come un valido ed efficiente strumento terapeutico a oggi utilizzato per il trattamento di oltre 80 malattie, come riportato nel decreto Ministeriale del 18 Novembre 2009.

Per scoprirne di più sulle cellule staminali: www.sorgente.com
Fonti
1. Campagna di comunicazione AIFA “Farmaci e pediatria” (anno 2014)
2. Decreto ministeriale 18 novembre 2009 “Disposizioni in materia di conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale per uso autologo-dedicato”

Scegliere il test prenatale: quali sono i parametri da valutare

Quando una donna aspetta un bambino sono tanti gli accorgimenti da prendere.
Per garantire il benessere di se stesse e del proprio bebè è importante mantenere uno stile di vita sano ed equilibrato per tutta la durata della gravidanza. A questi accorgimenti si aggiungono le visite di controllo di routine e i test di screening prenatale. Una mamma può decidere di sottoporsi a test prenatali non invasivi oppure, su indicazione dello specialista, può effettuare un esame di diagnosi prenatale invasiva.

I test di screening prenatale non invasivi rilevano eventuali anomalie cromosomiche e sono utili per avere un quadro sulla salute del nascituro già dalle prime settimane di gravidanza. Esistono diversi tipi di esami prenatali non invasivi come il Bi Test, il Tri Test e il test del DNA fetale, che si possono effettuare in diverse epoche gestazionali. Il test del DNA fetale può essere svolto precocemente, già dalla 10ᵃ settimana. Il suo tasso di affidabilità è del 99,9%¹ per la rilevazione di anomalie cromosomiche quali la sindrome di Down (Trisomia 21). Il tasso di falsi positivi del test di DNA fetale, cioè risultati del test che dichiarano la presenza di un’anomalia che in realtà non c’è, è più bassa dello 0,3%.

Bi Test e Tri Test si possono effettuare rispettivamente dalla 11a e dalla 15a settimana di gestazione. L’attendibilità di questi test di screening prenatale raggiunge l’85%​2, con un valore di falsi positivi che arriva fino al 5% per il Bi test; con il Tri test arriva al 60% circa con falsi positivi fino all’8%.
Nel caso in cui un test di screening prenatale non invasivo dovessero dare esito positivo o dovesse risultare non del tutto chiaro è opportuno che la mamma, su indicazione dello specialista, si sottoponga ad esami di diagnosi prenatale invasiva al fine di confermare o smentire il risultato del test. Tra i test di diagnosi prenatale invasivi rientrano l’amniocentesi, la villocentesi e la cordocentesi. Nel caso dell’amniocentesi, la gestante si sottopone al prelievo di un campione di liquido amniotico. Nel caso della villocentesi invece viene prelevato un campione di tessuto della placenta, mentre con la cordocentesi si procede con l’estrazione di un campione di sangue dal cordone ombelicale del bambino. Questi esami, in quanto invasivi, hanno un rischio di aborto pari all’1%2.
È importante quindi valutare attentamente il test di screening non invasivo a cui sottoporsi, per ottenere risultati attendibili che riducano le probabilità di dover affrontare esami invasivi.
Scopri il di più sui test del DNA fetale su www.testprenataleaurora.it.

Fonti:
1. Poster Illumina ISPD_2014 Rev A
2. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche, di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut

Test di screening e di diagnosi prenatale: le differenze

La gravidanza è un periodo molto delicato della vita di una donna. Spesso la futura mamma si sente confusa e ha molte domande a cui è difficile trovare delle risposte esaustive. Un argomento che crea un po’ di confusione nelle future mamme riguarda i test di screening o di diagnosi prenatale e quali siano le differenze fra questi tipi di esame.

I test di screening prenatale sono esami di tipo non invasivo. Solitamente tali esami combinano analisi biochimiche effettuate su un campione di sangue materno a esami ecografici, per rilevare se siano presenti valori che si discostano da quelli considerati standard.
Questi esami sono completamente sicuri e non invasivi. Non mettono a rischio né la salute della mamma né quella del feto. Tali test sono di tipo probabilistico poiché, confrontando i risultati con parametri standard, viene calcolata la probabilità in percentuale che il feto sia affetto o meno da un’anomalia, come la Trisomia 21 o difetti del tubo neurale.

Non tutti i test di screening prenatale hanno la stessa affidabilità. Il Bi test, il Tri test e il Quadri test sono composti da due esami, una prima analisi del sangue per valutare i livelli di alcune proteine nel sangue, e un’ecografia chiamata translucenza nucale, che permette di effettuare delle misurazioni sul feto. La percentuale di attendibilità di questi esami arriva fino all’85%1.

Tra i test di screening prenatale rientra anche il test del DNA fetale, anche questo di tipo non invasivo. Il test del DNA fetale si effettua tramite l’analisi di un campione di sangue materno, nel quale vengono cercati dei frammenti di DNA del feto. Il DNA fetale sarà dunque analizzato permettendo di identificare eventuali anomalie cromosomiche come la Sindrome di Down e le Trisomie 13 e 18. Tale test ha un’alta affidabilità, pari al 99,9%2.

Gli esami invasivi sono invece di tipo diagnostico, permettono dunque di sapere con certezza lo stato di salute del piccolo. Rientrano tra questi esami di diagnosi prenatale invasiva amniocentesi, villocentesi e cordocentesi. Questi test analizzano campioni prelevati direttamente dalla camera gestazionale: tramite l’amniocentesi si preleva un campione di liquido amniotico, con la villocentesi viene estratto un piccolo campione di placenta mentre la cordocentesi consiste in un prelievo di sangue del cordone ombelicale. Questi esami diagnostici, essendo invasivi, presentano un rischio di aborto pari all’1 %​.

Il ginecologo saprà consigliare alla gestante a quale test di screening o diagnosi prenatale sottoporsi, in base al suo stato di salute, all’età e all’eventuale presenza di anomalie genetiche in famiglia.

Se desideri avere più informazioni sul test di screening prenatale non invasivo basato sull’analisi del DNA fetale visita www.testprenataleaurora.it
Fonti:
1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche ­ Di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut
2. Poster Illumina ISPD_2014 Rev A

Domande frequenti sulla conservazione del cordone ombelicale

Tutte le mamme in dolce attesa si pongono numerose domande nel momento in cui iniziano ad informarsi sulla conservazione delle staminali del cordone ombelicale.

Chi esegue il prelievo delle cellule staminali contenute nel sangue del cordone ombelicale?
Cosa accade in caso di parto gemellare?
È possibile conservare le staminali anche se si decide di partorire a casa?
Rispondiamo ad alcune delle domande più frequenti poste dalle mamme che si informano sulla conservazione del cordone ombelicale.

Quali sono i principali vantaggi e quali gli svantaggi nel conservare privatamente il cordone ombelicale?
La conservazione privata ha il principale vantaggio che le cellule staminali saranno immediatamente disponibili in caso di bisogno e saranno assolutamente compatibili con il bambino da cui deriva il sangue del cordone ombelicale.
I possibili svantaggi sono dovuti dalla possibilità che il sangue prelevato dal cordone, o meglio il numero di cellule staminali in esso contenuto, sia insufficiente per un’ottima riuscita del trapianto in base al peso del ricevente. La ricerca scientifica viene però in soccorso. È possibile espandere in vitro le cellule staminali allo scopo di ottenere il giusto numero per il trapianto.

Chi è abilitato ad eseguire il prelievo del sangue del cordone ombelicale al momento della nascita del piccolo?
Generalmente il prelievo delle staminali può essere effettuato da infermieri, ostetriche e ginecologi.

Il parto sarà domestico: le staminali del cordone ombelicale possono comunque essere conservate?
Certamente, basterà fornire all’ostetrica che assisterà la gestante durante il parto il kit per il prelievo inviato dalla biobanca prescelta, assieme alla documentazione necessaria per il prelievo.

Avrò due gemelli: come si effettua in questo caso la conservazione?
Se i gemelli sono omozigoti (identici), le cellule staminali saranno compatibili al 100% per cui è sufficiente effettuare un solo prelievo.
Per quanto riguarda i gemelli eterozigoti è bene procedere con un doppio prelievo e doppia conservazione per essere sicuri di avere campioni di sangue compatibili al 100% per entrambi i bambini.

Come si può determinare se le cellule staminali prelevate dal cordone sono compatibili con altri membri della famiglia?
Per prima cosa occorre sottolineare che l’istocompatibilità è ereditaria: la probabilità che il campione sia compatibile con un soggetto ricevente diminuisce mano a mano che il grado di parentela tra donatore e ricevente si riduce. Per esempio, i genitori del piccolo donatore hanno il 50% di probabilità di essere compatibili mentre i fratelli del 25%.
Per determinare il grado di compatibilità tra le cellule staminali e il ricevente verranno effettuati degli esami di tipizzazione HLA (Human Luekocyte Antigen). La tipizzazione di base è solitamente eseguita già al momento della crioconservazione delle staminali e la si effettua analizzando una piccola parte di sangue cordonale. La tipizzazione può essere effettuata anche in seguito, tramite un semplice prelievo di sangue.
Nel caso in cui la prima tipizzazione HLA di base mostri la compatibilità tra ricevente e donatore, per essere sicuri del risultato viene eseguita un’analisi del DNA e un’analisi MLC (Mixed Linfocyte Culture), che daranno il grado di compatibilità definitivo.
Per avere maggiori informazioni riguardo le staminali del cordone e la loro conservazione visita www.sorgente.com

Consigli utili su come affrontare serenamente la prima gravidanza

Paure e dubbi sono comuni nelle donne alle prese con la loro prima gravidanza. Uno stile di vita sano è importante per salvaguardare la salute di mamma e bimbo, e lo è anche sottoporsi agli esami di screening prenatale.

L’alimentazione va controllata. Bisogna nutrirsi in modo appropriato, senza esagerare col cibo, per introdurre le sostanze nutritive adatte allo sviluppo del bimbo e dare energia alla gestante. Aumentare troppo di peso può agevolare la comparsa del diabete, pericoloso per mamma e bebè.

Vietato assumere alcolici e fumare durante gravidanza e allattamento: il bimbo riceve tutto ciò che assume la madre. I ginecologi vietano fumo e alcol per evitare l’insorgere di complicazioni anche gravi. Ingerire molte bevande alcoliche può causare nel bimbo la sindrome fetale alcolica e di conseguenza disturbi psico-fisici. Fumare riduce la circolazione sanguigna diretta al feto con possibilità di parto prematuro.

Accertata la gravidanza, ci si deve sottoporre a specifiche analisi del sangue per controllare la presenza di infezioni o patologie di tipo virale e per scoprire se la gestante è immune a toxoplasmosi o rosolia (prese in gravidanza potrebbero nuocere al nascituro). Il ginecologo, scegliendo l’iter di screening prenatale più indicato, prescriverà alla gestante anche queste analisi.

Le medicine non sono vietate, ma la gestante non deve ricorrere al fai da te. Il ginecologo consiglierà i farmaci per determinati disturbi, che non siano dannosi per il feto. Se la gestante assume quotidianamente farmaci perché affetta da malattie, dovrà rivolgersi a uno specialista che si preoccuperà di adattare la cura.

Età della gestante superiore ai 35 anni1 o casi di anomalie cromosomiche o genetiche in famiglia, possono accrescere la possibilità di difetti cromosomici nel feto. Ginecologo o medico specialista in genetica sono le persone cui ci si deve rivolgere per conoscere i test di screening prenatale più indicati da fare.

Amniocentesi e villocentesi (esami diagnostici invasivi), sono affidabili al 100% per la rilevazione di anomalie fetali. Hanno un rischio d’aborto dell’1%1.

Il test del DNA fetale è un esame di screening non invasivo, senza rischio d’aborto. Esamina i frammenti di DNA fetali nel sangue materno e rileva con un’affidabilità del 99,9%2, alterazioni cromosomiche come Sindrome di Down, trisomia 21 e Sindrome di Edwards.

Per maggiori informazioni: www.testprenataleaurora.it

 

Fonti:

  1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut
  2. Poster Illumina ISPD_2014 Rev A

Conservare il cordone ombelicale: i passaggi da conoscere

Conservazione cellule staminali del cordone ombelicale: una scelta importante, un atto di amore e di protezione, un’attenzione speciale per il bambino che sta per nascere e per la sua famiglia.

Una decisione a cui giungere dopo un percorso di consapevolezza e di valutazioni, ricercando informazioni ed offerte per scegliere la struttura migliore a cui affidare un tale patrimonio.

Ecco quindi che una coppia di neo genitori decide di conservare, seleziona la struttura e firma il contratto: ora cosa manca da fare? Quali azioni rimangono da compiere?

Dopo le prime fasi decisionali la mamma e il papà devono seguire semplici passi. Per prima cosa, prima di concludere l’accordo firmando il contratto, occorre verificare che la biobanca scelta offra standard elevati di qualità (in tal senso ricordiamo la certificazione di qualità GMP, un ottimo indicatore per capire la qualità del servizio, la principale certificazione internazionale nel campo della conservazione delle cellule staminali). Contemporaneamente è necessario occuparsi di un’assicurazione che possa garantire il servizio nel caso di insolvenza o di problemi finanziari della struttura.

Dopo la firma del contratto, papà e mamma dovranno adoperarsi per ottenere il nulla osta che consenta l’esportazione delle cellule staminali compilando dei moduli da presentare direttamente dalla direzione sanitaria dell’ospedale dove avverrà il parto.

Si passa poi al dover contattare la biobanca. I genitori riceveranno da quest’ultima un pacchetto informativo e uno speciale contenitore dove vengono posti gli strumenti necessari al prelievo e alla conservazione del sangue nel suo viaggio fino all’arrivo presso la biobanca. Il kit di raccolta contiene un’unità che registra la temperatura interna, che permetterà di monitorare costantemente lo stato del campione raccolto durante il viaggio.

Le migliori banche del cordone fanno di più: affiancano alla famiglia un tutor personale, sempre disponibile per chiarire dubbi e rispondere alle domande dei genitori.

 

Il giorno del parto ora è arrivato.

Mentre la mamma sarà impegnata ad affrontare il tanto atteso momento della nascita, il papà dovrà ricordarsi di portare in ospedale il kit per il prelievo, che verrà utilizzato dal personale medico per contenere il sangue cordonale prelevato dal cordone ombelicale.

Subito dopo la nascita è il momento di contattare la biobanca con una semplice telefonata; un corriere raggiungerà i neo genitori all’ospedale e per prendere in carico la spedizione del campione al laboratorio. Una volta raggiunta la biobanca, il campione verrà sottoposto a tutte le analisi necessarie per verificarne parametri quali la vitalità e il volume delle cellule raccolte. Superate le analisi, il campione è pronto per la vera e propria crioconservazione.

I genitori riceveranno il certificato di crioconservazione che attesta l’effettiva conservazione del campione nei biocontainers, speciali contenitori che lo mantengono ad una temperatura di – 196°C. Questa temperatura garantisce la conservazione ottimale del sangue per anni, assicurando al bambino o alla sua famiglia la possibilità di richiamare il campione in caso di necessità, dopo aver richiesto l’autorizzazione all’importazione al Ministero della Salute.

 

Per informazioni: www.sorgente.com