Luca Lo Presti: Lettere di viaggio 11.03.2013
Mi piace stare in Afghanistan, Kabul e’ una città che mi affascina e cattura ma, oggi, un unico pensiero ha pervaso la mia mente: se fossi afghano mio figlio potrebbe essere morto dato che l’Afghanistan e’ uno dei paesi al mondo col più alto tasso di mortalità per i bambini dagli zero ai cinque anni e mio figlio ne ha cinque e mezzo.
Mi chiedo percorrendo le strade di questa polverosa capitale di uno dei paesi più strategici al mondo dove siano finiti i 600 miliardi di dollari che gli americani hanno speso in questi ultimi dieci anni. Mi domando perché gli ospedali siano sporchi e cadenti, senza attrezzature medicali, senza cerotti o flebo. Mi domando perché non ci siano centri gincologici quando le probabilità di morire dando alla luce un bambino sono altissime. Mi domando perché non ci siano fognature, strade asfaltate o scuole pubbliche e, mi domando, perché nessuno si preoccupi di chiedersi dove siano finiti i soldi per la ricostruzione.
Mi domando perché vi siano grandi ville blindate dei tanti signori della guerra. Mi domando perché nascano scuole private gestite dagli stessi signori della guerra. Mi domando chi servano i tantissimi contractors che vestiti come robocop popolano le strade scorazzando su enormi gipponi dai vetri scuri. Mi domando chi siano i troppi uomini in cravatta che popolano l’unico albergo costoso di Kabul.
Mi faccio forse troppe domande e mi chiedo se non sia il caso di evitarne qualcuna agli amici afghani con i quali durante questi anni ho condiviso il sogno di un paese nuovo. Mi chiedo se abbia senso domandare loro cosa accadrà quando nel 2014 le truppe internazionali ritireranno dall’Afghanistan dato che nulla e’ accaduto di nuovo per chi vive nelle case arrampicate sulle colline dei quartieri di Kabul. Mi domando con che occhi potrebbe guardarmi il papa’ della bambina alla quale oggi ho regalato un orsachiotto giallo di mio figlio gli facessi la stessa domanda. Mi domando se questa sera sua mamma guardandola dormire con l’orsachiotto non si stia chiedendo se domani sara’ ancora viva.
Ogni sera prima di dormire guardo fuori dalla finestra per vedere ancora una volta le fiebili luci sulla collina prima che la corrente venga interrotta e mi chiedo quali siano i sogni delle persone che stanno per addormentarsi in quell’unica stanza dove sotto una grande coperta cercano riparo dal freddo e vorrei abbracciarli tutti.
Mi piace stare a Kabul perché malgrado tutto in un turbine di vento e polvere oggi un uomo con il viso segnato dal tempo spingeva con le mani ruvide una piccola ruota panoramica arruginita per far giocare decine di bambini. Mi piace stare a Kabul perché davanti a questo spettacolo di vita Allawuddin mi ha detto:
< speriamo che un giorno in Afghanistan si possa vivere ridendo Luca Jan>
Mi domando se vivro’ abbastanza per esserci quel giorno ma son certo che con Pangea lavoreremo incessantemente tra la gente e con la gente perché questo sogno possa realizzarsi..
Buona notte.