In età romana la vite era coltivata o a ceppo basso, cioè a sostegno morto, oppure a sostegno vivo, cioè maritata ad alberi. Il primo sistema era di derivazione greca, il secondo di influenza etrusca. La vite veniva in genere maritata con: pioppi, aceri, olmi, frassini, fichi, olivi, cornioli, tigli, orni, carpini, querce e salici. Virgilio, “Georgiche Il, elenca gli argomenti che canterà nel poema e simboleggia la viticoltura con il verso: “ulmisque adiungere vites” (agli olmi si aggiungano le viti) a segno della frequenza dell’olmo come adeguato sostegno della vite.

Le viti maritate offrivano il vantaggio di lasciare libero il terreno per la cultura contemporanea dei cereali. Nel medioevo continuò la prassi di maritare la vite ad alberi.

 

LAVORI DEL MESE

La potatura della vigna veniva effettuata preferibilmente con la luna piena, anche se il proverbio dice: “A marzo, luna o non luna, pota la vigna se vuoi l’uva”. Si toglievano tutti i tralci vecchi e si lasciavano Quelli nuovi, dispiegandoli lungo il filo di sostegno. Tutto il materiale di scarto della potatura veniva raccolto in fascine utilizzate per accendere il forno o il focolare, Nello stesso periodo si provvedeva all’impianto della nuova vigna, predisponendo il tutto con scassi profondi un metro e larghi 50 cm, dove si interravano le nuove piante. Richiudendoli, le pietre che erano state raccolte durante lo scavo si gettavano sul fondo, come letto di drenaggio degli scassi stessi.

 

CONSIGLI ENOLOGICI D’ALTRI TEMPI

Per evitare che il vino inacetisca, Corniolo della Corgna (tra ‘300 e ‘400) consiglia di conservare il vino in una cantina fresca, tenuto in botti piene e ben chiuse. La cenere della vitalba, sparsa sul vino, impedirà che esso si faccia aceto; oppure il lardo sospeso in mezzo alla botte in modo tale che discenda a mano a mano che il vino diminuisce. Alcuni versano nella botte una quantità di olio atta a ricoprire l’intera superficie del vino e poi, consumato questo, recuperano l’olio. Altri ancora introducono in ciascuna botte sei noci di lardo unte con olio e tenute insieme da un filo o schiacciate; oppure mettono nel vino 40 mandorle lavate e pestate. Si dice che per far mutare l’aceto in vino sia sufficiente aggiungere all’aceto il seme del porro. Attenzione: questi consigli sono appunto… d’altri tempi!

Corniolo della Corgna consiglia anche di assaggiare il vino dopo aver un poco desinato. Ma non va degustato dopo aver mangiato o bevuto molto, ne dopo una pietanza di sapore amaro, o salato o che alteri il gusto. Qualcuno lo assapora quando spirano i venti settentrionali, perché in quel periodo i vini sono fermi e genuini; altri quando il tempo è piovoso, perché si muove ed offre il suo gusto originale. Alcuni per ingannare l’acquirente versano il vino che vogliono vendere in un vaso in precedenza bagnato da ottimo vino. Altri fanno mangiare all’assaggiatore noci, formaggi, finocchio o cibi saporiti, per alterarne la degustazione.

 

LEGGENDA

Una leggenda narra che l’Aventino (famoso colle di Roma) era frequentato solo da due divinità rurali: Picus e Faunus. Il re Numa, per catturarle, mescolò del vino e del miele all’acqua della sorgente ove esse erano solite bere. La leggenda, raccontata da Ovidio (45 a.C.-18 d.C.) e da Plutarco (45-125 d.C.), dimostra dunque l’importanza del vino che era un elemento di valore e di attrazione.