È difficile dare una corretta e precisa definizione dell’induismo, essendo un vasto insieme di movimenti religiosi, concezioni filosofiche e pratiche sociali che si sono trasformate e consolidate nell’arco di 4000 anni. Anche la terminologia della parola “induismo” è piuttosto complicata e non è semplicissimo darne una corretta traduzione; probabilmente questo vocabolo potrebbe trovare le sue origini in un termine persiano che significa “fiume” e indicare appunto l’ Indo e le terre nate attorno alle sue sponde, in cui si sviluppò questa antichissima interpretazione della vita e del divino.
L’induismo conta circa 700 milioni di seguaci, è prevalentemente diffuso in India e in tutto il subcontinente indiano e si esprime sia attraverso l’adorazione di numerose divinità, sia attraverso gli atteggiamenti quotidiani dei fedeli e i riti celebrati.
In india, fin dalla notte dei tempi, sono esistite popolazioni con idiomi diversissimi l’uno dall’alto, potremmo però dividerli fondamentalmente in tre forti ceppi linguistici:
• le lingue munda , ovvero quelle “non scritte” fino a poco tempo fa ma solamente parlate da popolazioni sparse in tutto il paese.
• Le lingue dravidiche, ovvero quelle che interessano principalmente il sud del paese e sono di origine molto antica.
• Le lingue indo-arie , più diffuse tra gli indiani moderni e portate dai conquistatori ancora prima della nascita di Cristo.
Furono proprio le popolazioni che usavano queste lingue indo-europee e che invasero la valle del fiume Indo, a dare vita ad una nuova cultura religiosa. Esse, infatti, non sopraffecero le civiltà antiche allora presenti nel territorio ma le assorbirono e, dalla loro fusione, nacque appunto l’induismo.
A questo periodo si fanno risalire i Veda (da vid, sapere) che sono i primi documenti religiosi (pur non fissando alcun canone religioso). Essi sono piuttosto documenti e inni che parlano anche della storia del paese e delle guerre che lo hanno coinvolto.
Per semplicità, inoltre, potremmo individuare quattro punti fondamentali sui quale si fonda l’induismo ma che non sono certo sufficiente a descriverlo completamente:
• la fede nella “rivelazione” e nella “tradizione e negli dei,
• la credenza nella trasmigrazione delle anime e del Karma,
• la divisione in caste e delle tappe della vita
• la celebrazione di alcuni riti e pratiche religiose.
La tradizione
Per gli indù e un elemento chiave della loro religione e la chiamano “memoria”. Grazie ad essa vengono raccolti tutti i trattati che perpetuano l’esatto svolgimento dei riti sociali e domestici e che completano i Veda, oltre ai Sûtra (sentenze morali) e due grandi epopee chiamate Mahâbhârata e Râmâyana.
La Rivelazione
Essa è avvenuta tramite i veggenti (rishi) che hanno “ascoltato” i testi attraverso un’intuizione mistica e che sono poi stati raccolti in quattro “opere” (Samhitâ): Veda propriamente detti, Brâhmana, Â ranyaka e Upanishad. Tali libri sono assolutamente autoritari, non possono essere alterati o messi in dubbio, derivano da una fedele e minuziosa tradizione orale e trattano di molti argomenti: dai commenti liturgici alle preghiere, da brani filosofici a formule “esoteriche”, da cronache storiche a metafore di vita.
In termini semplicistici potremmo definire l’induismo come una religione politeistica che intreccia considerazioni filosofiche e realtà cosmiche all’esistenza umana, definendo una concetto preciso della società e dei suoi individui. Tutte le preghiere e gli inni dei Veda sono rivolti a divinità appunto “vediche” e i fedeli si distinguono per la loro particolare devozione al dio Shiva piuttosto che a Vishnu o alla dea madre Devi e dall’assenza di un’unica e uniforme dottrina con un”credo” convenzionale ed esercitato da tutti. Gli dei vedici, inoltre, sono molto diversi e ognuno ha una funzione e un’importanza differente: alcuni sono fortemente legati alla natura, ai suoi mutamenti e agli elementi, altri hanno caratteristiche più umane e si sono addirittura incarnati e discesi sulla terra, altri ancora sono personificazioni di antichi poteri e hanno caratteristiche più ambigue, con valenza sia positiva che negativa, ovvero possono portare vita come distruzione.
Il karman, la trasmigrazione delle anime e le caste
A seconda dei meriti o dei demeriti accumulati in vita e dovuti alle proprie azioni, ogni uomo è destinato a reincarnarsi in un essere di qualità superiore o inferiore. In questo modo il karman (che noi chiamiamo karma) che è fondamentalmente il rapporto fra un atto e le sue conseguenze (ogni azione produce, infatti, un effetto) si imprimerà sulla persona determinando il bene o il male che la stessa persona subirà nella vita presente o in quelle future. Quindi chi in una vita commette atti negativi, li sconterà nella vita successiva reincarnandosi in un altro corpo o anche in animali o vegetali (per questo gli indù non mangiano carne e rispettano gli animali) e affrontando poi una realtà molto più difficoltosa della precedente, che lo porterà ad espiare il suo peccato e a purificarsi. Chi accetta il karman accetta quindi la propria condizione di vita come applicazione di questa legge e di conseguenza la propria situazione sociale, la fortuna, il sesso o la casta di appartenenza sono determinati dalle vite anteriori. Il passaggio da un avita precedente ad una successiva è chiamato samsâra e per purificarsi dei suoi atti, per lo più limitati e malvagi, un uomo abbisogna di molte reincarnazioni.
Da questa visione della vita e dell’accettazione di essa, scaturisce il concetto induista di varna, ovvero delle “caste”, una vera e propria suddivisione in classi sociali che coinvolge ogni individuo dalla sua nascita, senza alcuna possibilità di sfuggire alle sue severe norme gerarchiche. Al vertice di queste caste, un ruolo di assoluta preminenza è attribuito infatti ai sacerdoti (brahmani), seguono i dei guerrieri (ksatriya), quindi lavoratori qualificati (vaisya) e nella discesa verso il basso della scala sociale troviamo poi chi fa parte delle caste inferiori, da quelle considerate servili (sudra) fino a quelle, disprezzate come impure, degli “intoccabili”. Esistono poi i “paria” termine riferito propriamente a chi si trovi nella condizione di “fuori casta” perché nato dall’unione illecita fra una donna di casta brahmanica e un uomo di casta servile. Chi appartiene ad una casta superiore infatti, tende a non sposarsi con individui di caste inferiori, ma soprattutto mai con gli intoccabili.
Il karman, la trasmigrazione delle anime e le caste
A seconda dei meriti o dei demeriti accumulati in vita e dovuti alle proprie azioni, ogni uomo è destinato a reincarnarsi in un essere di qualità superiore o inferiore. In questo modo il karman (che noi chiamiamo karma) che è fondamentalmente il rapporto fra un atto e le sue conseguenze (ogni azione produce, infatti, un effetto) si imprimerà sulla persona determinando il bene o il male che la stessa persona subirà nella vita presente o in quelle future. Quindi chi in una vita commette atti negativi, li sconterà nella vita successiva reincarnandosi in un altro corpo o anche in animali o vegetali (per questo gli indù non mangiano carne e rispettano gli animali) e affrontando poi una realtà molto più difficoltosa della precedente, che lo porterà ad espiare il suo peccato e a purificarsi. Chi accetta il karman accetta quindi la propria condizione di vita come applicazione di questa legge e di conseguenza la propria situazione sociale, la fortuna, il sesso o la casta di appartenenza sono determinati dalle vite anteriori. Il passaggio da un avita precedente ad una successiva è chiamato samsâra e per purificarsi dei suoi atti, per lo più limitati e malvagi, un uomo abbisogna di molte reincarnazioni.
Da questa visione della vita e dell’accettazione di essa, scaturisce il concetto induista di varna, ovvero delle “caste”, una vera e propria suddivisione in classi sociali che coinvolge ogni individuo dalla sua nascita, senza alcuna possibilità di sfuggire alle sue severe norme gerarchiche. Al vertice di queste caste, un ruolo di assoluta preminenza è attribuito infatti ai sacerdoti (brahmani), seguono i dei guerrieri (ksatriya), quindi lavoratori qualificati (vaisya) e nella discesa verso il basso della scala sociale troviamo poi chi fa parte delle caste inferiori, da quelle considerate servili (sudra) fino a quelle, disprezzate come impure, degli “intoccabili”. Esistono poi i “paria” termine riferito propriamente a chi si trovi nella condizione di “fuori casta” perché nato dall’unione illecita fra una donna di casta brahmanica e un uomo di casta servile. Chi appartiene ad una casta superiore infatti, tende a non sposarsi con individui di caste inferiori, ma soprattutto mai con gli intoccabili.