Quanti modi esistono per relazionarsi a bambini e bambine durante un laboratorio di arte? In che misura essere flessibili ci aiuta a stimolare la loro creatività? Come affrontare la ‘paura del provare’?
Approcci e aspettative
Nessuno può scegliere di andare troppo lontano dalle proprie convinzioni, a meno di non adoperarsi in un grande lavoro di ricerca, di scoperta e di appropriazione di una consapevolezza nuova. Al netto di questo lavoro, che prevede motivazione e coscienza tali da giustificare dei cambiamenti ideologici significativi, nessuno può essere diverso da com’è (tutt’al più potrebbe sembrarlo). Né grandi né piccini. Così quando, durante un mio incontro, arrivano adulti che accompagnano bambini e bambine, le tipologie di approcci che mi trovo davanti, e le aspettative di cui viene caricato il mio lavoro, sono prismatiche. Da chi poco capisce quello che faccio a chi lo banalizza, da chi apprezza soprattutto l’aspetto ludico, a chi riconosce anche un fondamento educativo.
I bambini e le bambine che si apprestano a fare un laboratorio insieme a me sono influenzati dalla valutazione – più o meno inconscia- che percepiscono da chi li accompagna. Ed in base a quella si comportano. L’adulto che mostra interesse lascia un bambino interessato. Chi mostra arroganza lascia un bambino supponente. Chi mostra noncuranza lascia un bambino distratto. Chi mostra inadeguatezza lascia un bambino timoroso. E così a seguire.
L’accoglienza e la chiarezza
I bambini e le bambine mi insegnano però che qualunque atteggiamento indotto, per quanto ostile o sfavorevole, si lascia rapidamente ‘deviare’ in segno opposto se c’è un ambiente accogliente e un obiettivo chiaro sui tendere. Se riusciamo a concederci uno spazio e un tempo di ‘sospensione del giudizio’ vediamo che le dinamiche relazionali mutano, il corpo si rilassa, la mente si ben-dispone. Ritengo che sia questo è il presupposto basilare per qualunque incontro di didattica dell’arte con bambini e bambine, ragazzi e ragazze, e anche, superfluo dirlo, per gli adulti.
Tutto ciò non vuol ancora dire uscire dai condizionamenti culturali che ci portiamo dietro (fin da piccolissimi). Per questo ci vuole altro tempo e strategie differenziate per contesto, target e finalità specifiche. Indubbiamente però mettere a proprio agio i piccoli partecipanti ci consente di abbassare il livello di ansia da prestazione che ci spinge, per esempio, a voler essere i più bravi a disegnare, i più veloci a consegnare, quelli che si sporcano meno…ecc. Sposando una logica competitiva in attività la cui finalità dovrebbe essere quella di vivere serenamente una esperienza esplorativa e di scoperta del dentro e del fuori da noi.
Il contatto costante
Dunque, insieme alle condizioni al contorno, anche l’impostazione che diamo al nostro laboratorio è determinante, perché ogni nostra scelta facilita o meno un clima distensivo, primo passo per un’esperienza formativa. Affinare le abilità, migliorare le competenze, incrementare le nozioni, valutare le opportunità tutto lecito, tutto auspicabile, tutto possibile. Come operatori abbiamo il dovere di aggiornarci e di stare costantemente a contatto con bambini e bambine: sperimentare, provare, fallire, affinare quel che li riguarda insieme a loro è l’unico esercizio per evolvere che non ha falle, né controindicazioni. Qualunque teoria concettualmente inattaccabile, può essere fallace se non è supportata da un lavoro sul campo. Capire il contesto in cui siamo e adottare suggestioni alternative, attivare atteggiamenti flessibili ci consente di creare una relazione funzionale al raggiungimento degli obiettivi. E anche di più.
A me la lezione più grande è sempre arrivata dai più piccoli.
[a cura di Leontina Sorrentino]