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Le malattie esantematiche

Cosa sono?
Le malattie esantematiche sono malattie infettive. Si manifestano con la comparsa di un esantema, cioè un’eruzione cutanea che è variabile: puntiformi o papulose che si presentano prima in sedi specifiche e poi si diffondono su tutto il corpo. La malattia è infettiva e spesso smette di essrelo proprio con la comparda comparsa dell’eruzione cutanea.

Quali sono?

  • il morbillo

  • la parotite

  • la pertosse

  • la rosolia

  • la scarlattina

  • la quarta malattia (Scarlattina abortiva)

  • la quinta malattia (Megaloeritema)

  • la sesta malattia (Esantema critico

  • la Malattia mano-piede-bocca

  • la Mononucleosi infettiva

Ambiente e creatività.

Dire di no ai bambini: quando, perché, come.

STABILIRE LIMITI  (estratto dal libro: “GENITORI CHE AVVENTURA! PRINCIPI PRATICI PER EDUCARE I FIGLI“, edizioni San Paolo, autrice Sofia Mattessich)

Circa all’età di un anno diventa necessario dire al bambino i primi “no” e cominciare così a stabilire dei limiti; di frequente i genitori esitano a farlo, un po’ per stanchezza – cedere a qualunque desiderio del figlio può sembrare in un primo tempo più facile che opporvisi –, un po’ perché desiderano non farlo soffrire.
Innanzitutto, è necessario distinguere i bisogni del bambino – esigenze che vanno soddisfatte – dai suoi desideri – che non è detto vadano esauditi. Per esempio, può darsi che un figlio, in seguito a un trasloco o a un altro cambiamento nella sua vita, richieda maggiormente la vicinanza dei genitori; sarebbe opportuno, in questo caso, che la sua esigenza venisse riconosciuta e in qualche misura soddisfatta nel periodo necessario al bambino per adattarsi. È diverso, invece, il caso di un figlio che desidera sempre addormentarsi con il genitore accanto al suo letto: si tratta di un desiderio al quale può essere bene dire “no”.
Il “no” detto con affetto, calma e fermezza è salutare; i limiti imposti al bambino devono essere stabili e coerenti (il più possibile condivisi da tutti coloro che si occupano di lui), in modo che egli abbia chiaro ciò che è permesso e ciò che è proibito. Il bambino che riesce ad averla vinta con un genitore, può esprimere un senso di trionfo in un primo momento, ma in realtà il fatto di riuscire a dominare l’adulto che si occupa di lui, di sentirsene più potente, gli trasmette insicurezza e ansia: il piccolo si sente in balìa dei suoi desideri e delle sue emozioni, senza che vi sia un adulto forte che sappia arginarli – adulto forte che dopo qualche anno il bimbo interiorizzerebbe come un’istanza mentale che gli permette di autoregolarsi. In altre parole, l’adulto che pone dei limiti – ripeto: con affetto, calma e fermezza – contribuisce a strutturare la personalità del bambino, in modo che un domani sarà lui capace di dirsi autonomamente, per esempio: “No, adesso non posso giocare, perché prima devo finire i compiti”.
Di fronte al “no”, il bambino sperimenta frustrazione e può darsi che provi rabbia; lasciamogliela esprimere, ma secondo modalità socialmente accettabili: per esempio, non accettiamo che ci prenda a calci, ma accettiamo che pesti i piedi per terra. L’esperienza della frustrazione rappresenta per il piccolo un’opportunità essenziale di imparare a far fronte alle difficoltà e di rafforzarsi. I bambini che vedono soddisfatti tutti i loro capricci non crescono felici, ma fragili.
Quando diciamo “no” a un desiderio di nostro figlio o vogliamo sgridarlo per qualche motivo, dobbiamo osservare tre passi: 1) esprimere comprensione per il suo desiderio e i suoi sentimenti; 2) mostrargli però le esigenze della realtà; 3) dargli sostegno e valorizzarlo. Per esempio, potremmo dire: “(1) Capisco che vorresti restare qui al parco a giocare con i tuoi amici e che ti dispiace dover tornare a casa, (2) ma dobbiamo rientrare, perché devo preparare la cena; (3) [quando il bambino acconsente, seppur sbuffando] bravo, ero certa che avresti capito”. Oppure: “(1) Capisco che sei arrabbiato perché quel bambino è salito sulla tua bici senza permesso, (2) ma non bisogna mai dare gli spintoni: devi chiedergli ‘puoi scendere dalla mia bici?’; (3) capita a tutti di sbagliare: sono certa che la prossima volta saprai fare meglio”. In questo modo il bambino non percepisce un genitore “cattivo” che proibisce e sgrida, ma un genitore che (1) lo capisce e (2) gli indica le esigenze della realtà che comportano anche frustrazioni – frustrazioni alle quali (3) egli è in grado di far fronte.

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Sofia Mattessich  “Genitori che avventura! Principi pratici per educare i figli”

Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2013, pp. 50, € 7.00 (e-book: € 2.99)

Sofia Mattessich

Genitori che avventura! Principi pratici per educare i figli.

Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2013, pp. 50, € 7.00 (e-book: € 2.99)

 

Capita di sovente, al termine di un incontro di formazione per genitori, di sentirsi rivolgere la richiesta di indicazioni bibliografiche valide e spendibili Non è facile fornire risposte adeguate. Non perché manchino i titoli: la letteratura al riguardo è abbastanza abbondante. Il problema sta piuttosto nel trovare testi che uniscano l’immediatezza della comunicazione ad una sufficiente dose di profondità.

Sono ovviamente da evitare quei manualetti che pretendono di impartire “istruzioni per l’uso” al genitore fornendo facili ricette da applicare ciecamente. Appare evidente che in un campo così delicato, che mette in gioco la peculiarità e l’unicità del rapporto genitore-figlio, l’unica via praticabile sia quella di proporre un “metodo”,  e quindi un atteggiamento, uno stile operativo capace di generare scelte autonome, da incarnare nelle situazioni specifiche che si presentano nella vita quotidiana.

Ma trasmettere un metodo non è cosa semplice. I testi metodologici (un esempio fra tutti : “Genitori efficaci” di Thomas Gordon)  risultano spesso difficili da assimilare per un genitore che non abbia una cultura specialistica, e che non sia avvezzo ai linguaggi delle scienze dell’educazione.

E’ a partire da queste considerazioni che ho letto con curiosità, e poi con crescente attenzione, il piccolo libro di Sofia Mattessich, psicologa specializzata nell’area dello sviluppo di bambini e adolescenti.

Il testo ha il pregio della brevità, e insieme della chiarezza espositiva. Attraverso alcune parole-chiave (relazione, conoscenza, limiti, autostima…) e con esempi pratici tratti dalla vita familiare conduce il lettore ad immedesimarsi in uno sguardo, a fare propri gesti e strategie che – lo si può leggere tra le righe – riconducono ad una precisa visione psicopedagogica dell’educazione e del ruolo genitoriale.

La centralità dell’ascolto, della relazione affettiva, l’importanza dell’empatia (“mettersi nei suoi panni”), la gestione dei limiti e delle emozioni, la correzione orientata sempre all’incoraggiamento, la promozione dell’assertività, il sostegno dell’autostima…  Sono tutti “principi”, non enunciati in modo astratto, ma documentati in azioni concrete, che si rifanno ad un modello che pone al centro il bambino, la sua vita emotiva, la sue esigenze, mettendo in discussione le pretese dell’adulto, le sue aspettative spesso esorbitanti, le sue ansie prestazionali.

Colpisce, nelle modalità espositive dell’autrice, lo sforzo costante di evidenziare il “rovescio positivo” di ogni situazione, di ogni intervento educativo. Anche l’uso dei “no”, la correzione, la gestione delle rabbie, il richiamo alle regole vengono riproposti in chiave affettiva, con una cura costante ad evitare gesti di squalifica e di disconferma, a trasmettere al figlio stima e comprensione, a privilegiare i “comandi positivi” rispetto alle critiche e alle proibizioni.  

Leggere queste pagine significa fare un piccolo percorso, prendendo le distanze dall’immagine del “figlio ideale”, per “riconoscere e valorizzare il figlio reale, quale egli è, con le sue qualità e i suoi limiti”.

 Luigi Regoliosi (Docente Facoltà Scienze dell’Educazione, Università Cattolica di Brescia)

 

 

 

 

 

I bambini in Italia: non solo numeri

Si conferma il trend negativo delle nascite in Italia anche per il 2013: è una delle notizie diffuse dai media in chiusura di anno su dati ISTAT preliminari. I nati in Italia nel 2013 sono oltre 22.000 in meno del 2012, il 4% circa, e quasi 60.000 in meno rispetto al 2009. Sebbene i dati siano ricavati dalla proiezione del 60% circa dei nati dell’anno, il fenomeno merita maggiore attenzione sia da parte della comunità scientifica e sia della istituzioni. È infatti un segnale ulteriore del progressivo invecchiamento della popolazione residente nel nostro Paese, già oggi intorno a numeri allarmanti: per ogni 100 soggetti sotto i 14 anni sono oggi 150 gli over 65 anni, a fronte dei 112 degli anni ’90.

Diversi fattori stanno alla base del fenomeno, ormai noto da molti anni, che colpisce in modo generalizzato tutte le regioni del nostro Paese, dal nord al sud, sia pure con alcune differenze geografiche. I capoluoghi e le città metropolitane sono meno interessate della provincia e solo a Roma e Milano si sono registrati nel 2013 dati in controtendenza, per una ripresa del fenomeno migratorio interno dal sud al nord, dalla provincia alle città metropolitane.

La crisi economica, la difficoltà di portare avanti una gravidanza e far crescere bene i figli in situazioni di incertezza e di instabilità, i trend in aumento di disoccupazione e di povertà sono fenomeni che preoccupano sempre di più e che incidono nel calo progressivo della natalità. Anche l’aumento del numero di bambini al di fuori del matrimonio, stimato nell’ordine del 25-30% del totale, il triplo rispetto al dato del 2000, è il frutto dello stesso sfavorevole contesto sociale e d economico che penalizza la famiglia e la natalità.

Il numero elevato di nati da genitori stranieri, che ormai si colloca intorno al 20%, non riesce più a compensare il tasso di denatalità della nostra popolazione, anche per la tendenza delle donne migranti a ridurre il numero di figli (da 2,4 figli per donna straniera nel 2005 al 2,0 stimato del 2013). Una delle risposte a queste tendenze sociodemografiche può venire dalla maggiore integrazione della popolazione straniera nella società italiana. Indipendentemente dalle convinzioni politiche o ideologiche di ciascuno, è difficile nella realtà globalizzata di oggi negare a chi nasce o cresce in Italia il diritto di sentirsi e di dichiararsi italiano. Il problema semmai è un altro: essere sicuri che l’integrazione sia effettiva e non una dichiarazione finalizzata in modo esclusivo a garantire i benefici giuridici e amministrativi. In questa nostra epoca la società multiculturale e multietnica deve diventare un valore positivo, deve essere occasione di crescita e di sviluppo. Ai bambini e ai ragazzi con genitori stranieri bisogna garantire diritti elementari e prospettive di vita e di salute pari a quelle dei bambini e dei ragazzi italiani. In questo anno che comincia la Società Italiana di Pediatria vuole impegnarsi su questo fronte coinvolgendo tutte le realtà scientifiche e associative che ruotano intorno al bambino e alla Pediatria italiana.

Giovanni Corsello
Presidente SIP (dal sito www.sip.it)