Qual è il metodo migliore per insegnare l’arte ai bambini? I bambini la pensano come noi? Cosa occorre curare quando progettiamo un laboratorio didattico?
“State indietro, fate silenzio. NON TOCCATE!” OPPURE: “Venite avanti. Ditemelo voi. Taccate!” Ecco due approcci di apprendimento completamente diversi! Il primo come una lezione frontale: il docente parla, l’alunno ascolta senza una reale possibilità di replica. Il secondo come uno una lezione interattiva: l’adulto accompagna il bambino attraverso un percorso fatto di scambi. Non sono qui per fare una classifica dell’approccio migliore, essendo convinta che l’efficacia del metodo dipenda dalla coerenza, dalla preparazione e dalla predisposizione di chi lo applica.
Ci può essere un metodo frontale che centra gli obiettivi educativi e uno interattivo che non funziona, tanto per intenderci. Dove per funzionamento mi riferisco potere comunicativo e al valore formativo, alla capacità di attivare stimoli! Parliamo invece di cose pratiche come ci impone questa rubrica. I bambini sono sottoposti a tantissime sollecitazioni, in qualunque ambiente si ritrovino sono invitati a rispettare regole differenti. In classe chiediamo che abbiano una certa condotta, li portiamo al museo e chiediamo un altro modello di comportamento, in biblioteca e durante i laboratori un altro ancora. In ogni occasione un contegno adeguato non solo all’ambiente, ma anche all’adulto di riferimento, sia esso maestro, educatore, operatore, bibliotecario e via andare. Non solo. In ciascuno delle situazioni in cui li esponiamo pretendiamo che siano al massimo, che mostrino il loro smalto e che non ci facciano fare brutta figura. Senza generalizzare eccessivamente facciamo l’esempio di quando portiamo i bambini in musei, a mostre o li iscriviamo per partecipare a laboratori didattici. Se l’attività è divertente – per noi- ci chiediamo perché il bambino non si diverte. Se l’argomento è interessante –per noi- ci domandiamo perché il bambino non stia attento. Se l’operatore di riferimento è simpatico-a noi- ci meravigliamo che il bambino si annoi.
Ma cosa succede se ci mettiamo nei panni del bambino? Proviamo a valutare alcuni punti che impattano sulle reazioni dei bambini che vivono per la prima volta un’esperienza didattica.
1- Ambiente: quasi sempre, mai visto prima e che a seconda degli spazi può intimorire, essere scomodo, non leggibile.
2- Metodo: probabilmente diverso rispetto a quello cui si è abituati, con modalità non sempre coerenti agli obiettivi dichiarati.
3- Tempo: quasi mai adeguato alle attività proposte, troppo breve o troppo lungo, stimolando a seconda sensazioni di ansia o di noia.
4- Approccio: il personale non sempre riesce a creare un clima frendly kids, sottovalutando, talvolta, accoglienza e feedback.
Considero queste quattro variabili fondamentali. Occorre creare un contesto familiare e gradevole per far vivere un’esperienza proficua ai nostri piccoli utenti. Se invece, in due ore di tempo, accolgo i bambini in un ambiente poco identificabile, propongo un metodo confuso e sorvolo sul momento che dovrebbe creare empatia con l’operatore, non posso avere pretese di alcun genere! Se voglio risposte brillanti e creative, devo costruire le condizioni per farle emergere. Non meravigliamoci, allora, se i bambini danno risposte pigre a certe sollecitazioni. La causa è da ricercare negli stimoli che gli sono stati lanciati e nella chiarezza con cui è stato chiesto di lavorare.